Il mio zaino non è solo carico di materiali e di viveri: dentro ci sono la mia educazione, i miei affetti, i miei ricordi, il mio carattere, la mia solitudine. In montagna non porto il meglio di me stesso: porto me stesso, nel bene e nel male.
Renato Casarotto
Le montagne sono di tutti, ma non sono per tutti: sono per chi le ama e le rispetta, per chi vuole viverle e conoscerle, per chi non prevarica con il proprio io la loro esistenza e armonia.
Mario Rigoni Stern
mercoledì 28 maggio 2014
Cicogna Val Grande
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Vivere la montagna, come una passione che va al di là dell'aspetto sportivo, ricercando quelle emozioni nascoste dentro di noi...
domenica 25 maggio 2014
L'anello del Pizzo d'Erna...a tu per tu con el Resegun
Il Pizzo d’Erna anche se è una cima minore del gruppo del Resegone, grazie alla sua posizione isolata rappresenta uno splendido balcone sul Resegone, sulle cime e i laghi che la circondano.
L’escursione ad anello si svolge in senso antiorario, all'andata percorriamo lo storico sentiero 1 curato nel tempo per la sua manutenzione da S.E.L. e CAI Lecco, per il ritorno dal rifugio Marchett seguiamo per un tratto l'interessante Sentiero Natura e in seguito il ripidissimo e poco frequentato sentiero dei carbonai 18 per il Passo del Cammello (EE).
Dopo il ponte sull'Adda a Lecco, abbandoniamo la statale 36 e proseguiamo a destra seguendo la nuova strada per la Valsassina. All'uscita della galleria svoltiamo a destra seguendo le indicazioni per i Piani d'Erna, subito dopo al bivio continuiamo a sinistra per Versasio/Piani Erna. Con alcuni tornanti oltrepassiamo le frazioni di Falghera e Malnago fino ad arrivare nell'ampio parcheggio a pagamento della funivia (€ 2). Ultimati i preparativi ci avviamo verso destra in direzione di un evidente cartello giallo, sul quale sono indicati alcune mete che si possono raggiungere (Località Versasio 603 m). Il sentiero che seguiremo è contrassegnato con i segnavia rosso/bianco/giallo con al centro il numero 1. Scendiamo alcuni gradini entrando subito nel bosco, dopo pochi minuti intersechiamo una stradina asfaltata, proseguiamo verso destra, dalla direzione opposta faremo poi ritorno. Saliamo fino a raggiungere un grosso cancello dove termina la stradina, continuiamo ora a sinistra seguendo l'ampio sentiero che con moderata pendenza entra nel bosco. Rimaniamo sul tracciato principale ignorando alcuni sentieri a sinistra, usciti dal bosco proseguiamo per un tratto in piano e oltrepassata una cappella raffigurante una madonna con bambino giungiamo a un bivio. Dalla palina segnavia saliamo verso sinistra tralasciando il sentiero 1A che prosegue per Campo de Boi/rif. Azzoni. Arrivati a Costa 800 m, attraversiamo la frazione e dopo un breve tratto di salita, decidiamo di fare una breve deviazione a sinistra, raggiungendo la cappella votiva della Madonna del Resegone dedicata ai caduti in montagna, una breve sosta è quasi d'obbligo. Riprendiamo a salire seguendo il sentiero più marcato e ignorando le varie deviazioni, giungiamo alla Capanna Stoppani 890 m, della sez. CAI di Lecco. Dedicato all'Abate Antonio Stoppani, nato a Lecco nel 1824, considerato una delle più interessanti figure della geologia italiana dell'800. L'edificio costruito nel 1895, fu raso al suolo durante la seconda guerra mondiale e ricostruito nel 1943 come prefabbricato. La struttura attuale è stata inaugurata nel 1978.
Dopo aver bevuto un buon caffè riprendiamo il cammino seguendo il sentiero che sale alle spalle del rifugio. In breve arriviamo alla fresca fontana del Kopp, continuiamo all'ombra del bosco e oltrepassata una vecchia casa arriviamo a un bivio. Proseguiamo a sinistra seguendo le indicazioni per Erna (la Sponda), il sentiero ora si fa sempre più ripido, senza quasi mai avere un attimo per “tirare un po' il fiato”… Usciti dal bosco ecco apparire davanti ai nostri occhi la dolomitica parete meridionale del Resegone. Il nome prende origine dal suo celebre profilo a nove punte che riproduce una sega, "resega" nel dialetto lecchese.
Reso famoso sia per il fatto d'essere citato nella tredicesima e conclusiva strofa della carducciana Canzone di Legnano "...ed il sole ridea calando dietro il Resegone", ma anche perché menzionato da Alessandro Manzoni in diversi punti del romanzo storico I promessi sposi "Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti,...".
Risaliamo un bel prato fiorito sulla sinistra, arrivando in breve alla palina segnavia del Sentiero Natura, continuiamo ora a salire su una scalinata fino a raggiungere dopo alcuni minuti un bar e subito dopo il piazzale dell'arrivo della funivia. Da qui non ci resta che seguire le indicazioni per il Pizzo d'Erna, proseguendo per un breve tratto su una stradina asfaltata in leggera salita sulla destra, oppure seguendo le paline segnavia del Sentiero Natura a lato del bar appena oltrepassato. In entrambi i casi il raggiungimento della cima è alla portata di tutti coloro che abbiano un minimo di voglia di fare quattro passi, oltretutto con i suoi 1373 m il Pizzo d'Erna è un eccezionale balcone naturale, sui laghi sottostanti e sulle cime tutt'attorno.
Ritornati all'arrivo della funivia seguiamo a sinistra le indicazioni per il rifugio Marchett, prima su stradina asfaltata e poi su sterrato. Giunti alla Bocca d'Erna 1291 m, incroncio di vari sentieri, proseguiamo sulla stradina sterrata raggiungendo le case del Vecchio Borgo e il rifugio Marchett.
Senza entrare tra le case svoltiamo a sinistra proseguendo verso una specie di sbarramento a un piccolo stagno. Da qui consultando la cartina decidiamo di tralasciare il sentiero a destra e di salire seguendo i pannelli didattici del Sentiero Natura, sicuri di trovare il sentiero per il Passo del Cammello. Purtroppo salendo ci accorgiamo che la direzione non è quella che avremmo dovuto tenere, arrivati nei pressi di una casa chiediamo a una signora delucidazioni, gentilmente ci conferma che il sentiero esiste ma siamo saliti troppo. Seguendo le indicazioni scendiamo lungo i prati sottostanti e oltrepassata una baita riusciamo finalmente a trovarlo, il sentiero in effetti non è che una traccia, per nostra curiosità decidiamo di ripercorrerlo al contrario in modo tale da vedere in quale punto del Sentiero Natura c'era la deviazione che non abbiamo visto. Con nostra magra consolazione, constatiamo che non vi è nessun cartello e nemmeno segnavia che possa far pensare che vi sia un sentiero, comunque per chi sale è sulla destra, poco prima d'arrivare al pannello che spiega come riconoscere i fiori (il sentiero passa a qualche metro sotto al pannello).
Scendiamo moderatamente all'interno di un bel bosco, il sentiero è comunque ben evidente e alcuni ometti ne assicurano la giusta direzione. Usciti dal bosco ci ritroviamo tra due collinette erbose che ricordano appunto le gobbe di un cammello, pensiamo che questo infatti sia il passo omonimo. Scendiamo verso destra passando accanto a un vecchio capanno e percorrendo un ampio canale arriviamo in breve a incrociare il sentiero 18 "dei Carbonai". Svoltiamo a sinistra continuando in una bella e folta faggeta, dopo un primo tratto agevole, il sentiero inizia a scendere ripidamente, passando accanto ad alcuni tralicci della corrente. Continuiamo alternando tratti su roccette, e anche se il sentiero è abbastanza ampio e non particolarmente esposto e comunque consigliabile un minimo di cautela. Oltrepassato un tratto particolarmente ripido che passiamo agevolmente con l'aiuto di una catena, dopo una croce in ferro, il sentiero diventa meno angusto e prosegue in falsopiano su fondo sassoso.
Sul sentiero, durante la discesa, non abbiamo incrociato nessuno, contrariamente a tutti gli altri sentieri percorsi salendo e ora che siamo arrivati in fondo, ne capiamo il motivo.
In breve arriviamo su una stradina sterrata, con alcuni tratti in cemento, la seguiamo avendo il bosco sulla sinistra e alcuni verdi prati a destra. Tralasciando le varie diramazioni arriviamo a incrociare la stradina asfaltata che seguiamo verso sinistra giungendo nuovamente al bivio incontrato al mattino, dal qui ripercorriamo il medesimo percorso fatto al mattino.
Malati di Montagna: Silvio, Danilo e Fabio
cartolina su Lecco
Sorgente del Kopp
uno strano fiore...
che purtroppo non conosco il nome...
la cresta dentellata del Resegun
panorama dal Pizzo d'Erna 1375 m
uno degli scorci più suggestivi del sentiero dei Carbonai
by Danilo
Sentiero n. 18 dei Carbonai
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giovedì 22 maggio 2014
La Val Grande vista da Giorgio Bocca
"Pioviggina. Le nuvole sono cosi basse che a volte sembrano fumo dietro le bocche di Finero. Nell'abitato di Finero non c'è anima viva. Si continua. La gola di Finero è stretta, con rocce color ruggine. Solo il raschiare del motore nel gran silenzio. Ci sono corvi che girano nel cielo. La strada è larga tre metri: terra battuta e pietrisco. Da una parte dei roccioni a strapiombo, dall'altra, dietro il piccolo muretto di protezione, il burrone dove le rocce sono appena coperte dagli sterpi. In certi punti l'acqua che si raccoglie nei canalini forma delle piccole cascate. Si va verso le bocche, dove la strada è come bloccata da un promontorio roccioso. Lì c'è una galleria lunga una decina di metri. Di là è la Val Cannobina. Fascisti e tedeschi stanno pancia a terra sul promontorio, le mitragliatrici già puntate su quella curva, dove la terra è quasi nera."
il brano è tratto dal saggio dedicato alla Resistenza "Una repubblica partigiana", pubblicato per la prima volta nel 1964, che ricostruisce la storia della "libera repubblica dell'Ossola"
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domenica 18 maggio 2014
Confine tra due mondi
"la foresta è un organismo
di illimitata generosità,
che nulla chiede all'uomo:
essa protegge tutti
gli esseri viventi
e offre la sua ombra
all'uomo che la distrugge"
Buddha
La Val Grande è un luogo ormai abbandonato, senza strade, senza insediamenti permanenti e neppure stagionali, dove la natura sta lentamente riprendendo i suoi spazi. Un vero viaggio dello spirito, fra foreste secolari e silenzi incontrastati. Qui il silenzio si vive fisicamente, il silenzio dei luoghi abbandonati, basta fermarsi qualche minuto e predisporci all'ascolto.
Oggi abbiamo voluto sconfinare, entrando in punta dei piedi in questo mondo, per poi salire su in alto fino al Monte Faiè, sentinella di questo confine naturale tra il mondo antropizzato dell'Ossola e il silenzio della Val Grande, tra immensi boschi, montagne selvagge, solitudine...un contrasto che fa pensare...
Usciamo a Baveno dall'autostrada A26,continuiamo seguendo le indicazioni per Verbania. Attraversato il ponte, alla rotonda proseguiamo verso destra e subito dopo svoltiamo a sinistra per San Bernardino Verbano - (Parco Val Grande). Continuiamo per alcuni chilometri lungo la provinciale che passa per Bieno e, prestando attenzione ai cartelli del Parco, giriamo a sinistra per Rovegro/Santino e poco oltre di nuovo a sinistra per Bieno/Alpe Ompio. Dopo circa 7 km arriviamo all’alpe Ruspesso 937 m, dove termina la strada. Parcheggiamo l'auto a lato della strada.
Dopo aver infilato gli scarponi e lo zaino ci dirigiamo verso il pannello informativo del parco, dove possiamo visionare, sulla cartina, l'itinerario che andremo a percorrere. Seguendo le indicazioni sulla palina segnavia ci dirigiamo verso il rifugio Fantoli. Oltrepassata una fresca fontana, scendiamo leggermente, per poi risalire su un bellissimo tratto di mulattiera acciottolata, oltre la quale passando tra due muretti a secco arriviamo alla palina segnavia, proseguendo diritti si arriva al vicino rifugio, da dove poi faremo ritorno.
Seguiamo le indicazioni per l'alpe Basseno e dopo un breve tratto in piano scendiamo a destra raggiungendo un torrentello che attraversiamo, subito dopo arriviamo alle baite inferiori dell'alpe Ompio, con belle vedute sul Lago Maggiore e in lontananza del Lago di Varese. Passando tra le baite notiamo fra tutte la baita "Margherita", recentemente ristrutturata nel tipico stile della zona. Lasciamo le baite alle nostre spalle, iniziando a salire in un bel bosco di betulle e felci, poco dopo oltrepassata una selletta, iniziamo a scendere e seguendo i segnavia bianco/rossi ci inoltriamo sempre di più nel cuore della Val Grande.
Oltrepassato un torrente arriviamo a Basseno 879 m, dove ci fermiamo qualche istante ammirando il suggestivo panorama del monte Pedum con l'omonima riserva integrale. Seguendo l'indicazione in legno posta su un muretto, Velina/Buè, scendiamo ripidamente lungo i prati sottostanti raggiungendo in breve la palina segnavia. Tralasciamo il sentiero a destra che prosegue verso l'alpe Scellina Sup./Cappella Or Vergun/Bignugno e ci incamminiamo seguendo le indicazioni per Corte Buè/Ponte Velina/Montuzzo/ Cicogna. Il sentiero prosegue in discesa nella valle, per poi continuare con un lungo percorso in falsopiano, seguendo quella che era la "strà di vacch" (strade delle mucche), ancora per alcuni tratti ben conservata, lungo la quale le mandrie da Bignugno erano condotte agli alpeggi. Alla seguente palina segnavia continuiamo diritto tralasciando il sentiero a destra che scende verso Ponte Velina/Montuzzo/Cicogna. Salendo abbiamo un'ampia veduta sul tortuoso corso del rio San Bernardino, il suo fragore arriva fino a noi, tutto intorno c'è solo pace e silenzio …
L'unico incontro della giornata è con un gruppo di escursionisti, accompagnati dal simpatico Tim Shaw, guida escursionistica tedesca e profondo conoscitore della Val Grande, ci salutiamo stringendoci la mano, un incontro gradito e inaspettato!
Dopo pochi minuti sulla destra intravediamo le baite di Corte Buè, perdiamo quota fino a raggiungere un torrentello, tralasciamo il sentiero a sinistra con il quale poi proseguiremo verso la cima del Faiè e, in breve, risaliti i prati inselvatichiti arriviamo a Corte Buè 888 m. Una grande corte maggengale del comune di Rovegro, posta sul versante nord-orientale dei Corni di Nibbio. I rustici e i prati sono distribuiti su un pronunciato costolone di fronte ai corti di Velina.
Raggiunto il "Bivacco Serena", realizzato dal Gruppo Escursionisti Val Grande nell'ambito di una convenzione con il Parco Nazionale Val Grande e il Comune di S. Bernardino Verbano, proseguiamo diritti per poi svoltare a sinistra arrivando a uno spiazzo erborso. Un ottimo punto di osservazione verso il solco della Val Grande che penetra profondamente fra le montagne e le contorte pieghe della Cima Sasso.
Io sono l'unico del gruppo che in passato aveva già raggiunto Corte Buè. Sono passati tanti anni ed era la prima volta che entravo in Val Grande, ricordo che fin da subito avevo provato una forte attrazione per questa valle. Negli anni “ho visto cose in montagna che voi umani …” citazioni a parte, la Val Grande è unica, percorri i suoi sentieri, raggiungi le sue cime e non vorresti mai andare via. Non so spiegarlo, ma basta percorrerla per capire.
Dopo una meritata pausa, ripercorriamo il breve tratto fatto all'andata e giunti al bivio, saliamo verso destra fino a incontrare una palina segnavia. Proseguiamo seguendo le indicazioni Monte Faiè/Alpe Ompio e in breve arriviamo al pannello didattico del Sentiero Natura - L'uomo albero - dal titolo "Corte Buè: erano fatiche tremende". Il sentiero continua a salire nel bosco contrassegnato dai bolli rossi, alla seguente palina segnavia tralasciamo il sentiero a sinistra e continuiamo seguendo l'indicazioni Colma di Vercio/Monte Faiè. Oltrepassate alcune baite diroccate occorre prestare attenzione e individuare il sentiero che sale a sinistra (nessuna indicazione) lasciando il più marcato sentiero che prosegue diritto. Non essendoci accorti subito della deviazione, abbiamo proseguito per un po’ sul sentiero “sbagliato” fino a un punto panoramico tra la Valle delle Scale e Val Camiasca.
Il sentiero diventa sempre più ampio e con lunghi tornanti risale il versante nord del monte Faiè arrivando alla Colma di Vercio 1255 m, dove vi sono ancora i resti della teleferica, per il trasporto del legname che scendeva a Mergozzo. Seguendo le indicazioni Ruspesso/Alpe Ompio, continuiamo verso sinistra, decidendo di non seguire il sentiero, ma di proseguire sulla facile e ampia cresta. Oltrepassata l'alpe Pianezza 1291 m, continuiamo a salire a destra e in breve raggiungiamo la cima del Monte Faiè 1352 m. Il toponimo richiama i fitti boschi di faggio che ne ammantano le pendici sin quasi alla vetta. Il colpo d'occhio sui laghi e sulla piana Ossolana, è davvero eccezionale. Ora non ci rimane che scendere il ripido versante fino alla palina segnavia, dalla quale seguiamo l'indicazione per l'alpe Ompio. Il sentiero prosegue più tranquillo e costeggiando i pannelli didattici del Sentiero Natura "L'uomo albero", giunge a un colletto a circa 1100 m. Scendiamo a destra e dopo aver attraversato un torrente arriviamo al rifugio Fantoli della sezione CAI di Pallanza. Da qui in poi ripercorriamo il medesimo itinerario del mattino.
Malati di Montagna: Franco, Luisa, Raffaella, Silvio, Pg, Danilo, Deborah e Fabio
Panorama verso la cima Tuss e la cima Sasso
Dopo aver infilato gli scarponi e lo zaino ci dirigiamo verso il pannello informativo del parco, dove possiamo visionare, sulla cartina, l'itinerario che andremo a percorrere. Seguendo le indicazioni sulla palina segnavia ci dirigiamo verso il rifugio Fantoli. Oltrepassata una fresca fontana, scendiamo leggermente, per poi risalire su un bellissimo tratto di mulattiera acciottolata, oltre la quale passando tra due muretti a secco arriviamo alla palina segnavia, proseguendo diritti si arriva al vicino rifugio, da dove poi faremo ritorno.
Seguiamo le indicazioni per l'alpe Basseno e dopo un breve tratto in piano scendiamo a destra raggiungendo un torrentello che attraversiamo, subito dopo arriviamo alle baite inferiori dell'alpe Ompio, con belle vedute sul Lago Maggiore e in lontananza del Lago di Varese. Passando tra le baite notiamo fra tutte la baita "Margherita", recentemente ristrutturata nel tipico stile della zona. Lasciamo le baite alle nostre spalle, iniziando a salire in un bel bosco di betulle e felci, poco dopo oltrepassata una selletta, iniziamo a scendere e seguendo i segnavia bianco/rossi ci inoltriamo sempre di più nel cuore della Val Grande.
Oltrepassato un torrente arriviamo a Basseno 879 m, dove ci fermiamo qualche istante ammirando il suggestivo panorama del monte Pedum con l'omonima riserva integrale. Seguendo l'indicazione in legno posta su un muretto, Velina/Buè, scendiamo ripidamente lungo i prati sottostanti raggiungendo in breve la palina segnavia. Tralasciamo il sentiero a destra che prosegue verso l'alpe Scellina Sup./Cappella Or Vergun/Bignugno e ci incamminiamo seguendo le indicazioni per Corte Buè/Ponte Velina/Montuzzo/ Cicogna. Il sentiero prosegue in discesa nella valle, per poi continuare con un lungo percorso in falsopiano, seguendo quella che era la "strà di vacch" (strade delle mucche), ancora per alcuni tratti ben conservata, lungo la quale le mandrie da Bignugno erano condotte agli alpeggi. Alla seguente palina segnavia continuiamo diritto tralasciando il sentiero a destra che scende verso Ponte Velina/Montuzzo/Cicogna. Salendo abbiamo un'ampia veduta sul tortuoso corso del rio San Bernardino, il suo fragore arriva fino a noi, tutto intorno c'è solo pace e silenzio …
L'unico incontro della giornata è con un gruppo di escursionisti, accompagnati dal simpatico Tim Shaw, guida escursionistica tedesca e profondo conoscitore della Val Grande, ci salutiamo stringendoci la mano, un incontro gradito e inaspettato!
Dopo pochi minuti sulla destra intravediamo le baite di Corte Buè, perdiamo quota fino a raggiungere un torrentello, tralasciamo il sentiero a sinistra con il quale poi proseguiremo verso la cima del Faiè e, in breve, risaliti i prati inselvatichiti arriviamo a Corte Buè 888 m. Una grande corte maggengale del comune di Rovegro, posta sul versante nord-orientale dei Corni di Nibbio. I rustici e i prati sono distribuiti su un pronunciato costolone di fronte ai corti di Velina.
Raggiunto il "Bivacco Serena", realizzato dal Gruppo Escursionisti Val Grande nell'ambito di una convenzione con il Parco Nazionale Val Grande e il Comune di S. Bernardino Verbano, proseguiamo diritti per poi svoltare a sinistra arrivando a uno spiazzo erborso. Un ottimo punto di osservazione verso il solco della Val Grande che penetra profondamente fra le montagne e le contorte pieghe della Cima Sasso.
Io sono l'unico del gruppo che in passato aveva già raggiunto Corte Buè. Sono passati tanti anni ed era la prima volta che entravo in Val Grande, ricordo che fin da subito avevo provato una forte attrazione per questa valle. Negli anni “ho visto cose in montagna che voi umani …” citazioni a parte, la Val Grande è unica, percorri i suoi sentieri, raggiungi le sue cime e non vorresti mai andare via. Non so spiegarlo, ma basta percorrerla per capire.
Dopo una meritata pausa, ripercorriamo il breve tratto fatto all'andata e giunti al bivio, saliamo verso destra fino a incontrare una palina segnavia. Proseguiamo seguendo le indicazioni Monte Faiè/Alpe Ompio e in breve arriviamo al pannello didattico del Sentiero Natura - L'uomo albero - dal titolo "Corte Buè: erano fatiche tremende". Il sentiero continua a salire nel bosco contrassegnato dai bolli rossi, alla seguente palina segnavia tralasciamo il sentiero a sinistra e continuiamo seguendo l'indicazioni Colma di Vercio/Monte Faiè. Oltrepassate alcune baite diroccate occorre prestare attenzione e individuare il sentiero che sale a sinistra (nessuna indicazione) lasciando il più marcato sentiero che prosegue diritto. Non essendoci accorti subito della deviazione, abbiamo proseguito per un po’ sul sentiero “sbagliato” fino a un punto panoramico tra la Valle delle Scale e Val Camiasca.
Il sentiero diventa sempre più ampio e con lunghi tornanti risale il versante nord del monte Faiè arrivando alla Colma di Vercio 1255 m, dove vi sono ancora i resti della teleferica, per il trasporto del legname che scendeva a Mergozzo. Seguendo le indicazioni Ruspesso/Alpe Ompio, continuiamo verso sinistra, decidendo di non seguire il sentiero, ma di proseguire sulla facile e ampia cresta. Oltrepassata l'alpe Pianezza 1291 m, continuiamo a salire a destra e in breve raggiungiamo la cima del Monte Faiè 1352 m. Il toponimo richiama i fitti boschi di faggio che ne ammantano le pendici sin quasi alla vetta. Il colpo d'occhio sui laghi e sulla piana Ossolana, è davvero eccezionale. Ora non ci rimane che scendere il ripido versante fino alla palina segnavia, dalla quale seguiamo l'indicazione per l'alpe Ompio. Il sentiero prosegue più tranquillo e costeggiando i pannelli didattici del Sentiero Natura "L'uomo albero", giunge a un colletto a circa 1100 m. Scendiamo a destra e dopo aver attraversato un torrente arriviamo al rifugio Fantoli della sezione CAI di Pallanza. Da qui in poi ripercorriamo il medesimo itinerario del mattino.
L'ultimo alpigiano di Buè fu Silvestro Lietta di Rovegro, classe 1913,
occhi luminosi e sereni, ricordi tanti.
"Buè era caricato da una ventina di famiglie di Rovegro che inalpavano complessivamente 50-60 bovini, vitelli, manzi e mucche da latte. Io salivo ai primi di marzo e scendevo alla fine settembre per fermarmi a Pezza Blena, dove rimanevo fino a metà di dicembre. Erano delle vite. Negli ultimi anni tenevamo i vitelli per poter pagare le tasse. Salivamo in marzo e tenevamo le mucche in stalle fino a maggio, dandole da mangiare il fieno dell'anno prima; poi le portavamo a pascolare nei busch dal Dom, sù verso i Corni di Nibbio o fuori verso Caseracce. In aprile-maggio portavamo le mucche al manz, a Ompio dal Battista Fantoli che aveva il toro. A Buè coltivavamo le patate, tante e le più belle della Val Grande. Avevo un po' di campei in Fragnera, oltre il riale, e ci portavo il letame con la svera. Tutto si portava in spalla, anche la merda. Ho lavorato e camminato tanto, ma sono contento della mia vita. Oggi è più difficile essere contenti.
a destra l'inconfondibile sagoma del monte Pedum
con l'omonima Riserva integrale
con l'omonima Riserva integrale
Monte Faiè 1352 m
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28804 Rovegro VB, Italy
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mercoledì 14 maggio 2014
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Mauro Corona
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domenica 11 maggio 2014
Sul Pizzo Formico tra le nuvole
Per la sua posizione strategica il Pizzo Formico con i suoi 1636 m, in antichità è stato un importante punto di guardia a controllo di questo settore montuoso. L'escursione ad anello prende avvio a pochi passi dal rifugio San Lucio, ideale come punto di sosta a fine giornata, i sentieri son tutti ben segnalati e attraversano suggestivi boschi e praterie fiorite.
La giornata dal punto di vista meteo non è eccezionale ma confidiamo nella buona sorte e comunque male che vada possiamo eventualmente ripiegare nel vicino rifugio San Lucio (1027 m) a circa 150 m dal parcheggio. Dopo aver bevuto il caffè ci dirigiamo al vicino oratorio di San Lucio del XVI sec. protettore dei mandriani e dei caseari, sul retro del quale seguiamo il sentiero 508 che attraversa un prato sulla destra, per poi entrare nel bosco. Intersechiamo una stradina sterrata che seguiamo fino a sbucare sull'ampia distesa prativa dove sorge la Baita Pianone 1142 m. Oltrepassata la piana mantenendo la destra e seguendo le indicazioni per il Pizzo Formico, rientriamo nel bosco (all'estrema sinistra dei pascoli faremo poi ritorno chiudendo l'anello). Si sale ripidamente lungo il versante settentrionale della Montagnina e, dopo alcuni tratti in falsopiano, tralasciato il sentiero a destra che prosegue verso la Baita delle Ortiche/Fontanino di Sales, con un'ultima salita giungiamo alla Forcella Larga 1465 m. Nei pressi si trovano i ruderi dell'antica Capanna Ilaria Maj, inaugurata nel 1928 e progressivamente abbandonata nel dopoguerra; sulla facciata rimasta in piedi, sono ancora ben visibili una croce e una stella (simboli di Stato e Chiesa) e le scritte «Anno» e «VI°» (sesto anno dell’era fascista).
Poco a monte è stata posta la "campana del terzo millennio", un simbolo voluto e realizzato dai Gruppi alpini e Cai di Gandino e Clusone, inaugurata nel 2005. Il vento gelido che sale dalla sottostante conca della Val Gandino ci induce a indossare il pile o il guscio, in montagna bisogna sempre essere pronti ad ogni evenienza e per qualunque cambiamento del clima (cappellino di lana e guanti non devono mai mancare nello zaino, anche d'estate). Dalla forcella tralasciamo il sentiero a sinistra e saliamo seguendo le indicazioni per il Pizzo Formico (set. 542). Aggirato un dosso, continuiamo lungo il crinale fino alla croce della cima 1636 m, purtroppo circondata dalle nuvole. Leggere, sulla meridiana, il nome delle cime, oggi invisibili, che ci circondano, ci “costringerà” a ritornare, prima o poi. Dalla forcella seguiamo il sentiero 545/508 (Pianone/S. Lucio) che scende leggermente nella bucolica conca del Farno, raggiunta la stradina sterrata la seguiamo verso sinistra giungendo alla Cappella dei Morti 1483 m. Dalla sella tra il M. Farno e la Montagnina, tralasciamo il sentiero a destra 545 che scende verso Campo d'Avene/Baita Campo Alto e continuiamo a sinistra in moderata salita su un bel sentiero, dove l'esperto Pg ci fa notare delle splendide fioriture di orchidea sambucina e soldanella alpina, oltre ai ben noti ellebori e crocus. Arrivati alla successiva sella, a quota 1490, tra il Monte Fogarolo e la Montagnina, seguiamo le indicazioni della palina segnavia per Fogarolo (set. 508). Scendiamo a sinistra e attraversata una suggestiva valletta, arriviamo nei pressi di una grossa pozza d'acqua. Trascuriamo il sentiero 545b indicato da una palina segnavia (Campo d'Avene/Baita Monte Alto), continuando a sinistra e dopo una breve salita giungiamo all'alpeggio Fogarolo 1415 m, dove ci concediamo una pausa ristoratrice. Alcune nuvole minacciose ci spronano a proseguire e così abbandoniamo questo angolo di pace e silenzio e proseguiamo lungo la stradina sterrata, una palina segnavia ci conferma la direzione. Durante la discesa inizia a piovere ma per nostra fortuna sono solo poche gocce, a destra tra le scure nuvole, con nostra sorpresa riusciamo anche a vedere uno scorcio del lago d'Iseo. Attraversando prati e boschi giungiamo a un bivio, continuiamo a sinistra in discesa, tralasciando le indicazioni per la località Prat di Ciese. Al successivo bivio alcuni cartelli indicano le varie località raggiungibili, noi proseguiamo a sinistra sulla sterrata che scende ripida, tralasciando il sentiero a destra per la Cappella dei cacciatori/Località Pendesa. Dopo pochi minuti, oltrepassata una baita sulla sinistra, abbandoniamo la sterrata e seguiamo il sentiero a sinistra (troviamo le indicazioni su un albero), subito dopo svoltiamo a destra e continuiamo in leggera salita attraversando alcuni prati. Dopo una cascina rientriamo nel bosco per poi uscire nei pressi di una bella baita ristrutturata. Il sentiero diventa ora una larga pista sterrata che scende per un breve tratto nel bosco, proseguiamo in piano e poco dopo incontriamo sulla destra il "Sentiero delle ore per S. Lucio" che tralasciamo. Riprendiamo nuovamente a salire giungendo nuovamente sugli ampi pascoli del Pianone, chiudendo l'anello. Da qui riprendiamo il sentiero fatto al mattino, arrivando nuovamente al rifugio San Lucio dove ci concediamo una meritata sosta. Consigliamo di fare l'anello in senso antiorario, come noi, in quanto la segnaletica, a nostro giudizio, risulta più chiara.
Malati di Montagna: Lorenzo, Silvio, Pg, Danilo e Fabio
the magic forest
la vita è tutta un continuo equilibrio
basta un colpo di vento...
Elleboro
Orchidea sambucina
Fiore di erba Trinità o Fegatella
nuvole minacciose all'orizzonte...
ma dietro l'angolo splende il sole...!!!
Chiesetta di San Lucio
Panorama dalla terrazza del rifugio
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domenica 4 maggio 2014
C'era una volta Nivolastro e Andorina...
La vita di un tempo a Nivolastro, raccontata da Lucia Anselmo, nata in una stalla a Nivolastro nel febbraio del '32 e vissuta qui fino all'età di 24 anni.
"Ce n'era di gente su a Nivolastro una volta, penso ventiquattro, venticinque famiglie. Tutte avevano mucche. La vita era dura, bisognava andare su in montagna tutte le mattine. Ci si alzava alle cinque, cinque e mezza. Bisognava badare alle mucche, poi colazione e poi si partiva per la montagna. Verso le sette eravamo già via, era lunga salire, un'ora buona di cammino, poi là si tagliava l'erba a mano. Si faceva seccare, era il fieno di montagna. Le mucche stavano sempre dentro, mangiavano quello che tagliavamo noi. Noi avevamo anche una capra. Mi ricordo sempre quella capra; una volta, io avevo credo 16 anni, siamo andati su a tagliare con mio fratello e gli ho detto: - Eh, oggi si che facciamo una bella mangiata -, perché avevamo una scatola di sardine. Abbiamo lavorato tutta la mattina, poi verso mezzogiorno, c'era un sole caldo, siamo andati a mangiare, poi abbiamo munto la capra. Di lì a un po' a mio fratello prende male, sia il caldo, sia il latte... E come fare?... Male, male, non poteva più camminare. L'ho preso in spalla e l'ho portato giù a Nivolastro. Gli abbiamo fatto delle tisane con le erbe e poi è stato meglio.
Tutti facevamo quella vita, si partiva alla mattina e si stava via tutto il giorno. Mio papà faceva sempre la polenta alla mattina, si metteva dentro la mantila (una sorta di tovaglia). Era polenta dura, si tagliava a fette, si mangiava con toma, pomodori. La segale la coltivavamo noi e la portavamo giù a macinare da Geppe, al mulino di Ronco. A Nivolastro c'era solo un forno. Il pane lo facevamo fino in tempo di guerra, una volta al mese, poi è arrivato a Ronco e lo compravamo lì. Era duro, si tagliava col martello e, tac, andava un po' dappertutto, si prendeva su e si mangiava col latte. Non si facevano molte storie. Era tutto buono e c'era la salute, andavamo come delle lepri. C'erano dei vecchi, già proprio abbastanza vecchi, anche loro andavano su spediti.
Il prete veniva su e diceva messa, una volta la settimana. C'era la scuola, fino alla quarta. C'era Maria, non era una maestra, ma sapeva leggere e scrivere e ci insegnava. A maggio arrivavano gli uomini, c'erano tutti i lavori da fare, c'erano da mettere giù le patate. E se ne andavano in autunno, fino a maggio. Siamo poi andati in Francia, tutta la famiglia, io avevo 17 anni, perché papà era a Parigi. Mi ricordo il giorno, il 9 settembre, siamo partiti da Nivolastro a piedi con lo zaino. Siamo andati a piedi fino a Ivrea, Aosta, La Thuile. Poi con una guida siamo passati in Francia come clandestini. Poi dalla Francia abbiamo preso il treno, nessuno ci ha detto niente. A Parigi siamo rimasti così, perché era un cambiamento enorme... enorme. Siamo restati tutto l'inverno, a maggio siamo tornati. Mio fratello è rimasto a fare la scuola. Per tre anni d'inverno andavamo a Parigi per fare da mangiare a mio papà e mio fratello.
A Nivolastro avevamo il problema dell'acqua, bisognava andare a prenderla alle fontane, un po' lontano dal paese. L'acqua era preziosissima, per le mucche ce ne voleva tanta. Poi abbiamo fatto un acquedotto e siamo andati un po' meglio. Un altro problema era il - Mont del Trasi -, un posto pericoloso sul sentiero per scendere a Ronco. Un bambino che portava delle capre è stato spinto da una capra, è caduto giù ed è morto. E poi mi ricordo Bernard, un soldato... Era venuto su a Nivolastro in licenza e poi non voleva partire, diceva che gli facevano gli scherzi. Lui era timido, un bravo ragazzo, ma timido. Eravamo tutti a messa quel giorno, sono venuti su i carabinieri, l'hanno preso e l'hanno portato giù. Abbiamo poi saputo che arrivato a - Mont del Trasi - si è buttato nel burrone...
Ma parliamo di cose più allegre. Raccoglievamo tante fragole e mirtilli. Con i mirtilli facevamo un vino, buono, dolce. E poi le nocciole. Un anno abbiamo portato a Valprato nove quintali di nocciole. Ce n'era, ce n'era. Le portavamo a vendere da quello della corriera. Giuanin Corriera. Eh, anche di patate ne abbiamo portate giù quintali, sempre a Valprato.
E poi dopo il lavoro, la sera nella mia stalla c'era sempre tanta gente. Prima cosa si diceva il rosario. Dopo una faceva una cosa, uno un'altra. Ognuno aveva il suo lavoro. Andavamo a dormire alle dieci, dieci e mezza d'inverno. C'era Vito che cantava. Era un'allegria. C'era molta unione."
Nivolastro
Dall'autostrada A5 usciamo a Ivrea e proseguiamo in direzione di Castellamonte (SP565). Da Castellamonte continuiamo verso Cuorgnè per poi imboccare la Valle dell'Orco e, seguendo le indicazioni per Ceresole, arriviamo a Pont Canavese dove svoltiamo a destra per la Val Soana. Risaliamo la valle e oltrepassato Ingria arriviamo a Ronco Canavese 940 m. Lasciamo l'auto nell'ampio parcheggio davanti alla casa di riposo San Giuseppe.
Seguiamo via Vittorio Emanuele dietro la casa di riposo e, subito a destra insieme ai segni di vernice bianco/rossi, troviamo anche l'indicazione per Nivolastro. Lasciate le ultime case alle nostre spalle e attraversato un ponticello, imbocchiamo la bella mulattiera che sale costeggiando il torrente. Dopo pochi minuti pieghiamo a destra, guadagnamo quota con alcuni tornanti e giungiamo al "Mont del Trasi", un balcone naturale, formato da un grande pietrone, un assaggio dei panorami che oggi andremo a gustare. Continuiamo nel bosco di conifere incontrando sul nostro cammino alcune interessanti cappelle votive con porticato, costruite a protezione ed a riposo dei viandanti, testimonianza di quanto la fede fosse profondamente radicata nel mondo rurale della montagna.
Raggiungiamo una grande vasca in pietra (monolito) usata per abbeverare gli animali, in breve, proseguendo in leggera salita verso destra, raggiungiamo Nivolastro 1423 m, uno dei migliori esempi di architettura alpina della valle Soana. Arrivati alla chiesetta dedicata a San Grato, l'unica costruzione a presentare un buon livello di conservazione, ci concediamo una pausa, ammirando il panorama. Attraversiamo Nivolastro con le sue imponenti case e seguendo i segnavia continuiamo in piano sulla mulattiera fiancheggiata da muretti a secco, dopo pochi minuti tralasciato il sentiero a destra che scende a Chiapetto, entriamo in un bel bosco di larici, faggi e aceri. La traversata presenta diversi saliscendi, passiamo senza problemi un primo valloncello, ma arrivati in prossimità del successivo, troviamo a sbarrarci la via un grosso nevaio che copre il torrente sottostante. Franco con cautela passa per primo constatando la tenuta e poi man mano lo attraversiamo tutti. Dopo pochi minuti il sentiero perde quota velocemente verso una gola rocciosa. Dopo alcuni gradini in ferro arriviamo nei pressi del ponte in legno che purtroppo è parzialmente crollato, al suo posto sono state collocate delle corde fisse che aiutano a non scivolare sulle rocce bagnate (cautela). Riprendiamo a salire arrivando in breve ad Andorina 1453 m, consigliamo di effettuare una deviazione sul pianoro sovrastante le case, da dove si ha una vista splendida sulla testata della valle e sulla Rosa dei Banchi.
Per la pausa pranzo sostiamo sul sagrato della chiesa parrocchiale dedicata a San Silverio martire. Il paese ormai si anima solo d'estate, quando la gente sale quassù per festeggiare san'Antonio, protettore del paese e al quale si riferisce una leggenda che si ritiene abbia dato origine alla festa.
Questo itinerario permette di scendere in un fitto ma bellissimo bosco di faggi e abeti, percorretelo con calma, ascoltandolo, sarà in grado di darvi sensazioni indimenticabili. Facendo attenzione ai segnavia arriviamo alla fine del sentiero tra il bivio per Chiesale e il cimitero di Valprato.
Seguiamo la strada provinciale verso valle e oltrepassate le case di Valprato Soana, dopo pochi minuti, svoltiamo a sinistra seguendo le indicazioni per Zurlera.
Al di là del ponte, poco prima di raggiungere le case, svoltiamo a destra seguendo una labile traccia che scende tra i prati, poco dopo su un sasso un segnavia rosso/bianco ci conferma che siamo sul sentiero. Entrati nel bosco proseguiamo in falsopiano rimanendo a lato del torrente raggiungendo le case di Scandosio. Dal paese saliamo a sinistra arrivando alla bella chiesa restaurata, dove si celebra ogni anno la festa di Sant'Anna, le passiamo sul lato destro uscendo dal paese, arrivati a un ponte in legno lo attraversiamo, per poi continuare in discesa sulla stradina asfaltata. Al bivio svoltiamo a sinistra entrando tra le case di Cernisio, giunti alla chiesetta svoltiamo a destra e seguendo le indicazioni per Ronco su un cartello in legno, imbocchiamo il sentiero contrassegnato dai segni di vernice bianco/rossi. Poco dopo tralasciata una pista agricola che sale a sinistra, attraversiamo un prato per poi entrare nel bosco. Il sentiero all'inizio è stretto e prosegue alto sul torrente che scorre tumultuoso. Con un continuo saliscendi giungiamo a un bivio, tralasciamo le indicazioni per Tiglietto e scendiamo a destra percorrendo un ripido sentiero scalinato. Arrivati in fondo continuiamo in piano verso sinistra fino al ponte in legno che attraversiamo, sul lato opposto seguendo a destra la strada asfaltata in breve arriviamo al parcheggio dove abbiamo lasciato l'auto al mattino.
"Ce n'era di gente su a Nivolastro una volta, penso ventiquattro, venticinque famiglie. Tutte avevano mucche. La vita era dura, bisognava andare su in montagna tutte le mattine. Ci si alzava alle cinque, cinque e mezza. Bisognava badare alle mucche, poi colazione e poi si partiva per la montagna. Verso le sette eravamo già via, era lunga salire, un'ora buona di cammino, poi là si tagliava l'erba a mano. Si faceva seccare, era il fieno di montagna. Le mucche stavano sempre dentro, mangiavano quello che tagliavamo noi. Noi avevamo anche una capra. Mi ricordo sempre quella capra; una volta, io avevo credo 16 anni, siamo andati su a tagliare con mio fratello e gli ho detto: - Eh, oggi si che facciamo una bella mangiata -, perché avevamo una scatola di sardine. Abbiamo lavorato tutta la mattina, poi verso mezzogiorno, c'era un sole caldo, siamo andati a mangiare, poi abbiamo munto la capra. Di lì a un po' a mio fratello prende male, sia il caldo, sia il latte... E come fare?... Male, male, non poteva più camminare. L'ho preso in spalla e l'ho portato giù a Nivolastro. Gli abbiamo fatto delle tisane con le erbe e poi è stato meglio.
Tutti facevamo quella vita, si partiva alla mattina e si stava via tutto il giorno. Mio papà faceva sempre la polenta alla mattina, si metteva dentro la mantila (una sorta di tovaglia). Era polenta dura, si tagliava a fette, si mangiava con toma, pomodori. La segale la coltivavamo noi e la portavamo giù a macinare da Geppe, al mulino di Ronco. A Nivolastro c'era solo un forno. Il pane lo facevamo fino in tempo di guerra, una volta al mese, poi è arrivato a Ronco e lo compravamo lì. Era duro, si tagliava col martello e, tac, andava un po' dappertutto, si prendeva su e si mangiava col latte. Non si facevano molte storie. Era tutto buono e c'era la salute, andavamo come delle lepri. C'erano dei vecchi, già proprio abbastanza vecchi, anche loro andavano su spediti.
Il prete veniva su e diceva messa, una volta la settimana. C'era la scuola, fino alla quarta. C'era Maria, non era una maestra, ma sapeva leggere e scrivere e ci insegnava. A maggio arrivavano gli uomini, c'erano tutti i lavori da fare, c'erano da mettere giù le patate. E se ne andavano in autunno, fino a maggio. Siamo poi andati in Francia, tutta la famiglia, io avevo 17 anni, perché papà era a Parigi. Mi ricordo il giorno, il 9 settembre, siamo partiti da Nivolastro a piedi con lo zaino. Siamo andati a piedi fino a Ivrea, Aosta, La Thuile. Poi con una guida siamo passati in Francia come clandestini. Poi dalla Francia abbiamo preso il treno, nessuno ci ha detto niente. A Parigi siamo rimasti così, perché era un cambiamento enorme... enorme. Siamo restati tutto l'inverno, a maggio siamo tornati. Mio fratello è rimasto a fare la scuola. Per tre anni d'inverno andavamo a Parigi per fare da mangiare a mio papà e mio fratello.
A Nivolastro avevamo il problema dell'acqua, bisognava andare a prenderla alle fontane, un po' lontano dal paese. L'acqua era preziosissima, per le mucche ce ne voleva tanta. Poi abbiamo fatto un acquedotto e siamo andati un po' meglio. Un altro problema era il - Mont del Trasi -, un posto pericoloso sul sentiero per scendere a Ronco. Un bambino che portava delle capre è stato spinto da una capra, è caduto giù ed è morto. E poi mi ricordo Bernard, un soldato... Era venuto su a Nivolastro in licenza e poi non voleva partire, diceva che gli facevano gli scherzi. Lui era timido, un bravo ragazzo, ma timido. Eravamo tutti a messa quel giorno, sono venuti su i carabinieri, l'hanno preso e l'hanno portato giù. Abbiamo poi saputo che arrivato a - Mont del Trasi - si è buttato nel burrone...
Ma parliamo di cose più allegre. Raccoglievamo tante fragole e mirtilli. Con i mirtilli facevamo un vino, buono, dolce. E poi le nocciole. Un anno abbiamo portato a Valprato nove quintali di nocciole. Ce n'era, ce n'era. Le portavamo a vendere da quello della corriera. Giuanin Corriera. Eh, anche di patate ne abbiamo portate giù quintali, sempre a Valprato.
E poi dopo il lavoro, la sera nella mia stalla c'era sempre tanta gente. Prima cosa si diceva il rosario. Dopo una faceva una cosa, uno un'altra. Ognuno aveva il suo lavoro. Andavamo a dormire alle dieci, dieci e mezza d'inverno. C'era Vito che cantava. Era un'allegria. C'era molta unione."
Nivolastro
L'itinerario ad anello percorso oggi prende avvio da Ronco Canavese (940 m) in Val Soana, una delle valli piemontesi del Parco Nazionale Gran Paradiso, le due borgate toccate sono, Nivolastro (1423 m) e Andorina (1453 m), in splendida posizione panoramica, non sono raggiunte da nessuna strada, ma da antiche mulattiere e sentieri, attraversando suggestivi boschi, dove il silenzio è rotto solo dal vento tra i rami...
Dall'autostrada A5 usciamo a Ivrea e proseguiamo in direzione di Castellamonte (SP565). Da Castellamonte continuiamo verso Cuorgnè per poi imboccare la Valle dell'Orco e, seguendo le indicazioni per Ceresole, arriviamo a Pont Canavese dove svoltiamo a destra per la Val Soana. Risaliamo la valle e oltrepassato Ingria arriviamo a Ronco Canavese 940 m. Lasciamo l'auto nell'ampio parcheggio davanti alla casa di riposo San Giuseppe.
Seguiamo via Vittorio Emanuele dietro la casa di riposo e, subito a destra insieme ai segni di vernice bianco/rossi, troviamo anche l'indicazione per Nivolastro. Lasciate le ultime case alle nostre spalle e attraversato un ponticello, imbocchiamo la bella mulattiera che sale costeggiando il torrente. Dopo pochi minuti pieghiamo a destra, guadagnamo quota con alcuni tornanti e giungiamo al "Mont del Trasi", un balcone naturale, formato da un grande pietrone, un assaggio dei panorami che oggi andremo a gustare. Continuiamo nel bosco di conifere incontrando sul nostro cammino alcune interessanti cappelle votive con porticato, costruite a protezione ed a riposo dei viandanti, testimonianza di quanto la fede fosse profondamente radicata nel mondo rurale della montagna.
Raggiungiamo una grande vasca in pietra (monolito) usata per abbeverare gli animali, in breve, proseguendo in leggera salita verso destra, raggiungiamo Nivolastro 1423 m, uno dei migliori esempi di architettura alpina della valle Soana. Arrivati alla chiesetta dedicata a San Grato, l'unica costruzione a presentare un buon livello di conservazione, ci concediamo una pausa, ammirando il panorama. Attraversiamo Nivolastro con le sue imponenti case e seguendo i segnavia continuiamo in piano sulla mulattiera fiancheggiata da muretti a secco, dopo pochi minuti tralasciato il sentiero a destra che scende a Chiapetto, entriamo in un bel bosco di larici, faggi e aceri. La traversata presenta diversi saliscendi, passiamo senza problemi un primo valloncello, ma arrivati in prossimità del successivo, troviamo a sbarrarci la via un grosso nevaio che copre il torrente sottostante. Franco con cautela passa per primo constatando la tenuta e poi man mano lo attraversiamo tutti. Dopo pochi minuti il sentiero perde quota velocemente verso una gola rocciosa. Dopo alcuni gradini in ferro arriviamo nei pressi del ponte in legno che purtroppo è parzialmente crollato, al suo posto sono state collocate delle corde fisse che aiutano a non scivolare sulle rocce bagnate (cautela). Riprendiamo a salire arrivando in breve ad Andorina 1453 m, consigliamo di effettuare una deviazione sul pianoro sovrastante le case, da dove si ha una vista splendida sulla testata della valle e sulla Rosa dei Banchi.
Per la pausa pranzo sostiamo sul sagrato della chiesa parrocchiale dedicata a San Silverio martire. Il paese ormai si anima solo d'estate, quando la gente sale quassù per festeggiare san'Antonio, protettore del paese e al quale si riferisce una leggenda che si ritiene abbia dato origine alla festa.
Un giorno di giugno un bimbo assai piccolo, di appena cinque anni, mentre era al pascolo nei dintorni di Andorina, fu avvicinato da un uomo che si diceva fosse un mago. Egli, non si sa come, riuscì a convincere il bambino ad allontanarsi dalle sue mucche e a seguirlo in un luogo appartato. Lo portò dietro ad alcune rocce, ma, quando cerco di toccarlo, si accorse che era protetto come da una barriera invisibile, poiché portata al collo una medaglietta di sant'Antonio. Il mago cercò di convincere il bambino a togliersi la medaglietta, ma ottenne un rifiuto. Tentò allora di togliergliela con dei bastoni, ma anche questo tentativo risultò vano. Intanto nella frazione erano iniziate le ricerche del bambino, invocando l'aiuto di sant'Antonio. Dopo qualche tempo il piccolo venne ritrovato, singhiozzante ma illeso, e raccontò del suo cattivo incontro con il mago. I paesani, felici per lo scampato pericolo, decisero di passare il giorno seguente a festeggiare e ringraziare il loro santo protettore.
Andorina
Per il ritorno si può scendere a Chiapetto con il sentiero che inizia dalla chiesa, oppure, come abbiamo fatto noi, seguire i segnavia tra le case e una volta raggiunto un grosso masso, seguire il sentiero che scende a sinistra indicato da una freccia e dalla sigla "V". Fare attenzione a non seguire quello con la sigla "Reg" che sale verso monte per poi proseguire in piano verso la testata della valle.Andorina
Questo itinerario permette di scendere in un fitto ma bellissimo bosco di faggi e abeti, percorretelo con calma, ascoltandolo, sarà in grado di darvi sensazioni indimenticabili. Facendo attenzione ai segnavia arriviamo alla fine del sentiero tra il bivio per Chiesale e il cimitero di Valprato.
Seguiamo la strada provinciale verso valle e oltrepassate le case di Valprato Soana, dopo pochi minuti, svoltiamo a sinistra seguendo le indicazioni per Zurlera.
Al di là del ponte, poco prima di raggiungere le case, svoltiamo a destra seguendo una labile traccia che scende tra i prati, poco dopo su un sasso un segnavia rosso/bianco ci conferma che siamo sul sentiero. Entrati nel bosco proseguiamo in falsopiano rimanendo a lato del torrente raggiungendo le case di Scandosio. Dal paese saliamo a sinistra arrivando alla bella chiesa restaurata, dove si celebra ogni anno la festa di Sant'Anna, le passiamo sul lato destro uscendo dal paese, arrivati a un ponte in legno lo attraversiamo, per poi continuare in discesa sulla stradina asfaltata. Al bivio svoltiamo a sinistra entrando tra le case di Cernisio, giunti alla chiesetta svoltiamo a destra e seguendo le indicazioni per Ronco su un cartello in legno, imbocchiamo il sentiero contrassegnato dai segni di vernice bianco/rossi. Poco dopo tralasciata una pista agricola che sale a sinistra, attraversiamo un prato per poi entrare nel bosco. Il sentiero all'inizio è stretto e prosegue alto sul torrente che scorre tumultuoso. Con un continuo saliscendi giungiamo a un bivio, tralasciamo le indicazioni per Tiglietto e scendiamo a destra percorrendo un ripido sentiero scalinato. Arrivati in fondo continuiamo in piano verso sinistra fino al ponte in legno che attraversiamo, sul lato opposto seguendo a destra la strada asfaltata in breve arriviamo al parcheggio dove abbiamo lasciato l'auto al mattino.
Malati di Montagna: Giuseppe, Patrizia, Silvio, Franco, Andrea, Danilo, Pg, Deborah e Fabio
Giuseppe, Patrizia, Danilo, Franco, Andrea
Fabio, Pg, Deborah e Silvio
a noi basta poco per esser felici...!!!
le nostre guide vigilano attente sul percorso...
corde fisse in alternativa al ponte in parte crollato
by Patrizia
by Danilo
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Vivere la montagna, come una passione che va al di là dell'aspetto sportivo, ricercando quelle emozioni nascoste dentro di noi...
sabato 3 maggio 2014
I libri
Ora questi, ora quelli io interrogo, ed essi mi rispondono, e per me cantano e parlano; e chi mi svela i segreti della natura, chi mi dà ottimi consigli per la vita e per la morte, chi narra le sue e le altrui chiare imprese, richiamandomi alla mente le antiche età. E v'è chi con festose parole allontana da me la tristezza e scherzando riconduce il riso sulle mie labbra; altri m'insegnano a sopportar tutto, a non desiderar nulla, a conoscer me stesso, maestri di pace, di guerra, d'agricoltura, d'eloquenza, di navigazione; essi mi sollevano quando sono abbattuto dalla sventura, mi frenano quando insuperbisco nella felicità, e mi ricordano che tutto ha un fine, che i giorni corron veloci e che la vita fugge. E di tanti doni, piccolo è il premio che mi chiedono: di aver libero accesso alla mia casa e di viver con me, dacché la nemica fortuna ha lasciato loro nel mondo rari rifugi e pochi e pavidi amici.
Francesco Petrarca
Vivere la montagna, come una passione che va al di là dell'aspetto sportivo, ricercando quelle emozioni nascoste dentro di noi...
giovedì 1 maggio 2014
Colori, profumi e suggestioni sul Sentiero Frassati della Liguria
Pier Giorgio Frassati nasce a Torino il 6 aprile 1901 da Adelaide Ametis e da Alfredo Frassati, di stirpe biellese, fondatore e proprietario del giornale "La Stampa", che sarà senatore del Regno ed ambasciatore a Berlino. Pier Giorgio è secondogenito, ma la sorellina Elda morì a soli otto mesi, prima della sua nascita. Nel settembre del 1902 nasce la sorella Luciana che nella gioventù gli sarà saggia consigliera e prezioso appoggio e che nel 1925 andrà in sposa a Jas Gawronski.
Pier Giorgio all'età di diciassette anni si iscrisse alle Sezioni di Torino sia del Club Alpino Italiano che della Giovane Montagna perché amava profondamente la montagna che sentiva come una cosa grande, un mezzo di elevazione dello spirito, una palestra dove si tempra l'anima e il corpo. Pier Giorgio Frassati muore il 4 luglio 1925 a causa di una poliomielite fulminante quasi certamente contratta, come affermò Guido Piovene, "assistendo un altro malato povero, a insaputa dei suoi, e forse lo vide morire".
Per l'alto valore della sua vita terrena il 20 maggio 1990 fu dichiarato beato da Giovanni Paolo II.
Pier Giorgio era un giovane virtuoso che, pur avendo una vita normalissima, ha saputo esprimere la sua santità soprattutto aiutando i poveri. Nonostante sia un grande personaggio, lo sentiamo vicino a ciascuno di noi perché è un santo imitabile e questo fatto ci infonde coraggio.
Il sentiero Frassati della Liguria si sviluppa in due itinerari ad anello, che noi abbiamo voluto unire, la partenza avviene dal Santuario di Acquasanta. Il primo itinerario ha una difficoltà escursionistica ed è segnalato con una segnavia rosso bianco rosso con al centro la lettera F in nero, mentre il secondo è esclusivamente per Escursionisti Esperti, con un lungo tratto attrezzato con cavo, ed è segnalato con una segnavia rosso bianco rosso con al centro la sigla alfanumerica F1 in nero.
Usciti al casello di Genova-Voltri della A10, svoltiamo a destra e proseguiamo seguendo le indicazioni per il Passo del Turchino/Ovada. Dopo pochi chilometri da Voltri al bivio svoltiamo a destra per Acquasanta, lasciamo l'auto nel piazzale adiacente al Santuario di Nostra Signora dell'Acquasanta. Costruito tra il 1683 e il 1718 su progetto attribuito al lombardo Carlo Muttone, è meta continua di pellegrinaggi che provengono in maggior parte dalla Liguria e dal Piemonte
Dal Santuario 163 m, raggiungiamo la palina segnavia sul lato destro del piazzale, accanto a una fontana e seguendo le indicazioni "Sentiero Frassati - F", saliamo seguendo la stradina pedonale. Attraversiamo per un paio di volte la strada asfaltata e arrivati al piazzale della stazione 213 m, imbocchiamo la strada a destra che prosegue in piano. Dopo aver attraversato il ponte sul rio Condotti, intersechiamo la strada asfaltata che da Acquasanta sale alla Colla di Prà. La seguiamo in salita fino al bivio in località Briscùggi. Seguiamo ora la stradina a sinistra abbandonando la strada principale da cui poi faremo ritorno. Proseguendo in leggera discesa attraversiamo nuovamente il rio Condotti e continuando in salita arriviamo a Case Pezzolo di mezzo, ai seguenti due bivi teniamo per entrambi la sinistra (indicazioni per Punta Martin). La strada diventa sterrata e in breve scende al Piano Pezzolo 242 m. A destra dell'ultima casa, inizia il sentiero un po' invaso dalla vegetazione, proseguiamo a mezza costa sulla sinistra orografica del Rio Baiardetta. Arrivati in località Gazeu 290 m, abbandonato il tracciato principale, diretto a Punta Martin per la cresta SO sul versante opposto della valle, continuiamo a destra seguendo le indicazioni per Fontanin/P. Pietralunga (F). Lo stretto sentiero con ripide svolte sale tra i pini e l'erica, il panorama si ampia sempre più, verso i monti Pennone, Tardia e Reixa, la valle del Baiardetta e la cresta sud-ovest di Punta Martin.
Arrivati al Fontanin 410 m, proseguiamo verso sinistra seguendo le indicazioni sulla palina segnavia per il Masso del Ferrante/Cresta settentrionale (F1), un successivo cartello ci avverte che il sentiero che stiamo per percorrere dopo il secondo guado è per escursionisti esperti (EE).
Proseguiamo a mezza costa, affacciandoci sulla testata della valle e sulle aspre pareti rocciose della Baiarda, dopo pochi minuti, scendiamo verso il torrente che guadiamo raggiungendo in breve il caratteristico Masso del Ferrante (in ricordo di Giorgio Ferrante, alpinista successivo alla seconda guerra mondiale). Seguendo gli ometti e i segnavia, guadiamo nuovamente il torrente e ritornati sulla sinistra orografica, arriviamo nei pressi di una palina segnavia. Tralasciamo le indicazioni per il "Sentiero Carlo Poggio" e riprendiamo a salire ripidamente verso destra lo scosceso versante nord-occidentale della Baiarda. Dopo un breve tratto a mezzacosta, saliamo fino a raggiungere la targa che ci rammenta l'inizio del "Sentiero attrezzato". Superato uno stretto passaggio, svoltiamo nettamente a destra attraversando delle cenge esposte, attrezzate con un cavo d'acciaio. Poco prima di risalire il canalone principale, con una breve deviazione a destra saliamo su un roccione, posto poco oltre lo sbocco del suggestivo Canalone dei Briganti, sulla sommità è stata collocata una piccola statua della Madonna. Ritornati sui nostri passi riprendiamo a salire sul ripido sentiero sassoso, arrivando sulla cresta principale, nei pressi del colle Baiarda, il panorama spazia sul golfo genovese e sui monti circostanti.
Continuiamo verso destra seguendo i segnavia quadrato rosso pieno e vuoto, con tre pallini, in pochi minuti arriviamo alla Cappella della Baiarda 703 m, posta in splendida posizione panoramica, dove si trova anche un tavolo con panche. Dopo la pausa pranzo decidiamo di salire sulla Punta Pietralunga, seguiamo il sentiero a destra per un breve tratto in piano, per poi scendere giungendo sotto la cuspide sommitale. Abbandoniamo la traccia e superando facili roccette (I/II) con un passo esposto, in breve arriviamo alla statua della Madonna 676 m.
Ritorniamo alla cappella e dalla palina segnavia seguiamo le indicazioni a sinistra per Moccio/Colla. Il sentiero scende gradatamente fino al torrente che guadiamo per poi continuare lungo l'antico acciottolato ancora ben conservato. Arrivati alla palina segnavia in località Moccio 530 m, svoltiamo a destra verso Colla/Acquasanta. Scendiamo fino al torrente che attraversiamo prima verso destra e poi nuovamente a sinistra, il sentiero continua a perdere quota fino ad arrivare su una strada sterrata. La seguiamo verso sinistra, giungendo all'ampio valico prativo di case Colla 318 m.
Imboccando la strada asfaltata immediatamente sulla destra, raggiungiamo nuovamente la stazione ferroviaria di Acquasanta e da li ritorniamo al piazzale del Santuario.
Malati di Montagna: Andrea, Silvio, Pg, Danilo e Fabio
la giornata è splendida...
...e anche oggi si sale e poi si sale ancora...
prove di volo...
...felici e contenti...
by Danilo
cartina sentieri F - F1
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Pietralunga
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