Il mio zaino non è solo carico di materiali e di viveri:
dentro ci sono la mia educazione, i miei affetti, i miei ricordi, il mio carattere, la mia solitudine.
In montagna non porto il meglio di me stesso: porto me stesso, nel bene e nel male.
Renato Casarotto

Ho imparato che tutti quanti vogliono vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel come questa montagna è stata scalata.
Gabriel García Márquez

lunedì 26 giugno 2017

Flora alpina: adattamento delle piante all’altitudine

Relazione della conferenza di lunedì 5 Giugno 2017 presso la Sede Antares di Legnano

Relatore: Roberto Olgiati, dottore naturalista.

Pulsatilla vernalis (L.) Mill.
Monte Cazzola (2330 m; Alpe Devero, VB);
sullo il Pizzo Cervandone (3210 m).
Per “Ecologia” si intende la scienza che studia le relazioni strutturali e funzionali che si instaurano tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui vivono, che è costituito da esseri viventi, acqua, aria, suolo, rocce. Tutte queste componenti sono sottoposte all'azione di fattori biologici, chimici e fisici che interagiscono continuamente nel corso dell’evoluzione.

Gli organismi viventi, nel corso dell’Evoluzione biologica, sviluppano particolari adattamenti che permettono loro di aumentare le capacità di sopravvivere in un dato ambiente. Questi adattamenti derivano da un complicato processo di mutazione genica e selezione naturale che agisce senza sosta da oltre quattro miliardi e mezzo di anni fa!
Soldanella alpina L.
Laghi di Sangiatto, 2000 m; Alpe Devero, VB.
Questo infinito processo ha determinato le differenziazioni morfologiche, fisiologiche e anatomiche degli organismi, agevolandone l’esistenza nelle particolari condizioni ecologiche in cui si sono evolute. La selezione naturale favorisce gli individui portatori di caratteristiche che li rendono meglio adattati alle condizioni ambientali in cui vivono: questo fa sì che i caratteri positivi da loro posseduti – corrispondenti ai geni favorevoli presenti nel loro DNA – si trasmettano alle generazioni successive.

Ogni volta che osserviamo un fiore in alta montagna, stiamo ammirando un piccolo miracolo della natura. Le particolari condizioni climatiche presenti in altitudine fanno sì che la sopravvivenza della flora sia particolarmente messa alla prova in condizioni estreme e selettive.

Quali fattori influiscono sulla resistenza delle piante in quota?

Androsace vandellii (Turra) Chiov.
Lago Devero (VB), 1900 m.
La temperatura. Probabilmente il fattore più ovvio, ma forse quello che più di ogni altro influisce sulla presenza o meno di certe piante. Ogni 100 metri in altezza si perdono circa 0,5-0,6°C con il risultato che oltre una certa altitudine (intorno ai 3000 metri) si hanno condizioni paragonabili a quelle dell’artico. A questo si aggiunga la forte escursione termica tra giorno e notte, assai più marcata rispetto a quanto accade nelle pianure e alle quote inferiori. In generale l’estate alpina è molto breve diminuendo mediamente di 11-12 giorni ogni 100 metri di maggiore altitudine; varcando la quota di 1700-1800 metri la neve può cadere in effetti in qualsiasi mese dell’anno.
L’umidità assoluta presente in atmosfera diminuisce salendo di quota al punto che a 3000 metri è pari a circa un terzo di quella presente al livello del mare. Da rilevare è inoltre la grande rapidità con cui il grado igrometrico oscilla passando in breve tempo dalla saturazione alla secchezza, fenomeno che spiega i rapidi cambiamenti meteorologici in alta montagna.
Il vento è spesso incessante e naturalmente più sostenuto rispetto alle pianure per via delle continue burrasche che si abbattono sulle cime.
Eritrichium nanum (L.) Schrad. ex Gaudin
Passo dei Salati sul sentiero per lo Stolenberg
al confine tra Val Sesia (VC) e Valle di Gressoney (AO), 2980 m.
Le precipitazioni di norma sono più abbondanti salendo d’altitudine sino ai 2000-2500 metri; oltre questa quota tornano progressivamente a diminuire.
L’esposizione alle intemperie dipende dalla disposizione delle valli con versanti e crinali in grado di condizionare il microclima locale.
L’innevamento, spesso persistente per molti mesi all’anno, abbrevia la stagione vegetativa. A questo si aggiunge il carico che la neve esercita sulle piante sottostanti. La neve incide sulle piante al punto che le fioriture sono regolate esclusivamente dalla sua scomparsa.
La radiazione ultravioletta aumenta proporzionalmente alla quota a causa della rarefazione dell’aria e la sua intensità può minacciare la sopravvivenza delle piante.
La siccità. Questo potrà sorprendere chi associa l’assenza d’acqua ai deserti ma in effetti l’acqua in montagna è per lunghi periodi accumulata in forma di neve o ghiaccio non essendo così assimilabile dagli apparati radicali. Anche nella breve estate alpina, la rarefazione dell’aria e lo scarso quantitativo di umidità disponibile facilita l’evaporazione rendendo disponibile l’acqua solo per brevi periodi.
I mutamenti del terreno: pareti rocciose che si sgretolano sotto l’effetto di neve e ghiaccio, detriti che si muovono, frane e slavine.

A causa di questi numerosi fattori le piante hanno escogitato adattamenti specifici mirati alla difesa dalle condizioni così estreme che caratterizzano l’alta montagna.Andiamo ora alla scoperta dei principali metodi di adattamento adottati dalle piante: questo ci permetterà di apprezzare e mostrare maggiore rispetto a queste forme di vita; rimarremo affascinati dalla “forza della vita” che, anno dopo anno, concede loro di fiorire anche dove potrebbe sembrare impossibile, come per esempio sulle pareti strapiombanti o sulle creste più impervie.

Salix reticulata L.
Lago di Sangiatto inferiore (1990 m), Alpe Devero; VB, Italia.
IL NANISMO  –  Salendo ad alta quota le piante presentano taglia estremamente ridotta. Il vantaggio risiede nella capacità di resistere meglio al vento e agli agenti atmosferici nonché al peso della neve. Non sarebbe infatti possibile, per la vegetazione ad alto fusto, resistere alle tempeste di neve e al vento impetuoso presente in altitudine. Il nanismo rende inoltre possibile sfruttare, per insediarsi, ogni minimo spazio offerto dalla roccia o dal terreno.

Silene exscapa All. sulle piste da sci Staffal-Salati (2450 m,
Valle di Gressoney; AO, Italia).
Sullo sfondo: Lyskamm e Vincentpiramid (Gruppo del Rosa).
FORMA A CUSCINETTO    Il vento e il carico esercitato dalla neve sono spesso affrontati dalle piante con una conformazione a “cuscinetto” che annulla il danno che sarebbe provocato avendo rami o steli; questi sarebbero infatti facilmente spezzati. Sono piante che spesso vegetano nelle fessure delle rupi e  presentano un apparato radicale allungato e ingrossato capace di penetrare profondamente nelle rocce.
Spesso le specie alpine sviluppano moltissimi fusticini di minima dimensione ramificati a raggiera creando un compatto “pulvino” che offre un ulteriore vantaggio: può essere trattenuta l’umidità necessaria per far fronte alla siccità. Curioso è inoltre il fatto che le vecchie foglie e fiori restano intrappolati nel cuscinetto per poi essere decomposti in humus; il cuscinetto è in questo modo “auto-rigenerante”.

Sedum alpestre Vill.
Lago Gabiet, Valle di Gressoney (AO); 2350 m.
ADATTAMENTO ALL’ASSENZA D’ACQUA
1 – le foglie succulente
Mantenere una riserva d’acqua è essenziale in un ambiente dove essa è spesso accumulata come neve o ghiaccio e quindi non è assimilabile dalle piante. Nei giorni sereni, la forte insolazione, l’assenza di umidità e il vento asciuga molto rapidamente le foglie richiedendo speciali adattamenti per mantenere il giusto livello di liquidi necessario al sostentamento della pianta. Alcune di esse si sono adattate sviluppando foglie succulente in grado di immagazzinare acqua. E’ il caso dei Sempervivum e dei Sedum che presentano il classico aspetto di “pianta grassa”, ma foglie succulente caratterizzano anche alcuni tipi di Primula e Sassifraga. In molti casi le foglie sono raccolte in rosette in modo tale che possono farsi ombra a vicenda fornendo così ulteriore protezione dalla traspirazione.
Leontopodium alpinum Cass.
lungo il sentiero per il Passo Zube
(2874 m; Valle di Gressoney, AO).
2 – la lanugine superficiale
Molte piante alpine sono rivestite da una fitta lanugine superficiale bianco-argentata che ha il doppio effetto di difendere la pianta dai rigori impedendo nel tempo stesso la traspirazione dei liquidi. Il meccanismo è concettualmente semplice ma di grande efficacia: la lanugine crea un sottile strato isolante in grado di attenuare la differenza d’umidità presente tra l’aria esterna e l’interno della pianta; di conseguenza è rallentata l’evaporazione dei tessuti interni. Talvolta è invece adottato il metodo opposto: poiché l’eccessivo riscaldamento favorisce la traspirazione, alcune piante non hanno lanugine ma presentano foglie spesse e dalla superficie lucida in grado di riflettere le radiazioni solari più forti e nocive. Questo effetto “specchio” è peraltro generato anche dall’insieme della lanugine superficiale essendo costituita da cellule morte e traslucide con effetto rifrangente nei confronti della luce. Come esempio di piante ricoperte da una fitta peluria possiamo senz’altro citare le splendide Pulsatilla montana e Pulsatilla vernalis, nonché le foglie dell’Androsace alpina. Ancora più famosa è la Stella alpina (Leontopodium alpinum) con i suoi inconfondibili petali dall’aspetto vellutato.

Linaria alpina (L.) Mill.
presso il Lago Gabiet a quota 2400 m
in alta Valle di Gressoney (AO).
PIANTE MIGRATRICI E STABILIZZATRICI  –  La presenza di ghiaioni, pietraie e colate detritiche rende difficile la presenza di piante per via del continuo rotolamento di pietre o del ruscellamento superficiale delle acque. Le piante rischiano continuamente di essere sepolte dalle rocce o trasportate via dal movimento dei detriti. Nonostante ciò alcune specie vegetali definite “glareofite” sono specializzate nel sopravvivere in questi particolari ambienti.
Esistono le cosiddette “glareofite migranti” che si avventurano sui pendii più instabili. L’emissione di getti striscianti in grado di radicare è una garanzia per la pianta: in caso di seppellimento legato allo spostamento dei detriti essa può infatti rigenerarsi a breve distanza (i cosiddetti “occhi dormienti”) dando la sensazione di una migrazione della stessa.
Un’altra tipologia di piante è data dalle “glareofite striscianti”, le quali emettono una fitta rete di sottili getti in grado di “galleggiare” sui detriti senza offrire alcuna resistenza. Spesso presentano radici sottili e fascicolate in grado di raggiungere la terra sottostante.
Altre specie dette “stabilizzatrici” o “glareofite fissanti” presentano un sistema radicale complesso (spesso un robusto rizoma ramificato e flessuoso) in grado di penetrare molto profondamente nel terreno sino ad ancorarsi saldamente al substrato con l’effetto di stabilizzare il pendio vincendo la sollecitazione meccanica determinata dai piccoli ma continui movimenti del pietrame. La pianta è inoltre in grado di ricercare in profondità l’acqua e il nutrimento al contrario assente sulla superficie dei ghiaioni.
Ranunculus glacialis L.
Monte Rosa presso Capanna Gnifetti, 3625 m.
Le “glareofite sbarranti” sono in grado di trattenere i detriti fini grazie a un germoglio formato da un fitto cespo oppure grazie ad un intricato groviglio di radici rivolte perpendicolarmente rispetto al pendio. In relazione a quest’ultima tipologia un rappresentante classico è dato dal Ranuncolo dei ghiacciai (Ranunculus glacialis). Questa pianta presenta un’ulteriore forma di adattamento: nei suoi tessuti accumula zuccheri solubili anziché amidi, come avviene normalmente, in una concentrazione tale da abbassarne il punto di congelamento e permetterne la sopravvivenza anche a temperature di molti gradi al di sotto dello zero.
Le “glareofite coprenti” sono caratterizzate da un apparato vegetativo molto sviluppato. La fitta rete di getti e rami riesce a frenare o catturare i detriti fini avendo un effetto stabilizzante sul pendio.
Aconitum napellus L.
Piani di Artavaggio (Valsassina),
sentiero per il Monte Sodadura, 2010 m.
PIANTE DEI PASCOLI  –  Apriamo una breve parentesi sulle piante che condividono l’habitat con gli animali da pascolo; questi ultimi sono un ulteriore fattore di rischio che esula dagli aspetti climatici. Mentre alcune piante sono coriacee e spinose, altre più tenere e fragili crescono su rocce o ripidissimi pendii (è il caso di alcuni tipi d’orchidea) riparandosi dal calpestio e dalla bocca degli animali. Altre specie presentano radici solide in grado di sopportare la devastazione degli animali al pascolo riuscendo così a ricrescere. Vi sono piante la cui difesa è costituita dal loro sapore: le genziane sono amarissime e senz’altro avrete notato come siano accuratamente evitate da mucche e pecore; il Napello (Aconitum napellus L.) e la Luparia (Aconitum lycoctonum) sono fortemente velenosi. Gli adattamenti sono anche in questo caso necessari per garantire la sopravvivenza.

LA RIPRODUZIONE  –  Un serio problema per le piante d’alte montagna riguarda la riproduzione. L’impollinazione, meccanismo scontato nelle pianure, è invece molto più difficile in altitudine a causa dei fattori elencati in precedenza. Il vento stesso essendo discontinuo, spesso troppo intenso, non è affidabile e di conseguenza gli insetti, i quali pure scarseggiano in questi ambienti, restano il principale veicolo per la riproduzione.

Papaver alpinum L. subsp. rhaeticum (Leresche) Markgr.
Passo di Campagneda (2636 m; ValMalenco SO).
colorazione dei fiori  –  In quota non abbondano gli insetti impollinatori; le piante d’alta montagna si adattano a questa carenza generando fiori particolarmente colorati e quindi visibili con maggiore facilità. La vivace colorazione permette di non sprecare nemmeno un istante nei pochi giorni favorevoli: la stagione estiva è sulle Alpi assai piovosa; occorre quindi sfruttare la presenza degli insetti nei pochi momenti di stabilità atmosferica.

dimensione dei fiori  –  Altro esempio di adattamento all’alta montagna è dato dalla dimensione abnorme di certi fiori rispetto alla taglia della pianta nel chiaro tentativo di attirare quanti più insetti sia possibile.

SFRUTTARE LA RADIAZIONE SOLARE  –  Le piante d’alta quota hanno imparato a difendersi e al tempo stesso a sfruttare la radiazione solare. I nocivi raggi ultravioletti sono tanto più penetranti quanto più si sale d’altitudine a causa della rarefazione dell’aria e della carenza d’umidità nei giorni tersi. I fiori hanno imparato a difendersi dalle radiazioni nocive ancora una volta sfruttando colorazioni sgargianti; i pigmenti colorati hanno infatti potere assorbente nei confronti delle radiazioni nocive.

Soldanella pusilla Baumg.
Laghi Boden (2348 m).
Alta Val Formazza (VB, Piemonte; Italia).
FIORITURA ANTICIPATA  –  La maggior parte delle piante alpine non è in grado, a causa del periodo estivo troppo breve in alta quota, di eseguire l’intero ciclo vitale in un solo anno (germinazione, crescita, fioritura, maturazione del seme, morte). Questo spiega perché sulle Alpi non sono frequenti le piante annuali e le poche sono di piccola taglia. La stragrande maggioranza delle piante sono invece di tipo “perenne”, ovvero l'apparato radicale rimane vivo per più anni, protetto in inverno dalla neve. Di norma foglie e fiori sono invece sostituiti ogni anno e i loro residui secchi spesso partecipano nel proteggere le gemme, al livello del terreno, che in primavera dovranno prontamente germogliare.
Molte piante si adattano al clima accelerando il processo di fioritura per sfruttare al massimo la breve estate alpina; accade infatti che il loro ciclo vegetativo abbia inizio addirittura d’inverno: paradossalmente la neve diviene, in questi casi, una preziosa alleata. Il manto nevoso mantiene infatti la temperatura del suolo appena al di sopra dello zero (la neve è un eccellente isolante), impedendo un eccessivo raffreddamento dello stesso. Il suolo è inoltre salvaguardato dall'inaridimento: il terreno è infatti mantenuto umido sia dal lento stillicidio della neve stessa sia perché il manto nevoso lo difende dai venti che in montagna hanno un elevato potere di evaporazione. La neve concede inoltre, a meno che non sia eccezionalmente abbandonante, che la luce filtri sino al terreno; si tratta di un’illuminazione tenue, diffusa, ma sufficiente a permettere il proseguimento dell’attività fotosintetica.
Crocus albiflorus Kit.
Piani di Artavaggio, 1700 m (Valsassina, LC).
Si può quindi affermare che l’attività di certe piante perenni non subisca una sosta invernale, ma solo un rallentamento di intensità. A riprova di questo esistono numerose specie alpine che producono gemme in pieno inverno pronte a fiorire non appena ha inizio il disgelo. Altre piante sono addirittura in grado di fiorire al di sotto della coltre nevosa o quando essa è in via di fusione. Fra tutte ricordiamo la Sassifraga rossa (Saxifraga oppositifolia), la piccola Soldanella alpina e il bellissimo Croco (Crocus vernus): quest’ultimo si difende dai rigori anche grazie a un organo sotterraneo carnoso (tubero o bulbo).

ALTRI ADATTAMENTI  –  Alcuni tipi di pianta ricorrono a metodi alternativi e complementari all’impollinazione per aumentare le probabilità di riproduzione. Ad esempio, l’Ambretta strisciante (Geum reptans), pianta tipica delle morene glaciali, produce fusti striscianti (stoloni) che vanno a produrre nuovi cespi a breve distanza. Altre piante producono gemme o bulbilli da ognuno dei quali si sviluppa un nuovo individuo (tra gli esempi classici c’è la Poa alpina e il Polygonum viviparum). Curioso il caso della Viola gialla (Viola bifora) che fiorisce in tempi diversi aumentando sensibilmente la probabilità di essere impollinata.
Occorre inoltre accennare ai semi delle piante alpine che in genere sono piuttosto piccoli e leggeri in modo da facilitarne la dispersione a opera del vento. Possiamo citare come esempio i frutticini piumosi della Pulsatilla alpina.

Silene exscapa All.
Alta Val Formazza presso i Laghi Boden (2348 m);
sullo sfondo il Pizzo Castel (Kastelhorn, 3128 m).
Termina così la nostra carrellata tra le piante alpine alla scoperta dei loro adattamenti per vincere la lotta per la sopravvivenza. Siamo convinti che se amate veramente la natura sarete rimasti affascinati dalla loro capacità di resistere alle più svariate minacce.
E’ necessario conoscere per rispettare maggiormente la Vita in ogni sua forma: la flora alpina ne è soltanto un piccolo frammento. Lassù fra aridi ghiaioni, sulle strapiombanti pareti verticali, sotto il sole cocente, a volte sulle morene glaciali o con le radici perennemente nell'acqua i fiori continueranno, anno dopo anno, nella breve estate d’altitudine a rallegrare i nostri occhi con il loro colore stupendoci per la loro straordinaria bellezza!

Testo e fotografie: Roberto Olgiati, dottore naturalista.

La galleria completa di immagini si trova sul sito dell'Associazione Antares di Legnano al seguente link:

sabato 24 giugno 2017

Al Lago Bianco, nel Parco Naturale Veglia e Devero

Il Lago Bianco (sulla cartografia ufficiale Lago del Bianco) è posto su una dorsale che si stende al di sotto del Passo di Boccareccio (RitterPass), lungo la parete della Cima delle Piodelle. Ricorda un angolo di Dolomiti con la verticalità della roccia giallastra a cui è addossato e da cui si staccano splendidi monoliti rocciosi. Il nome deriva certamente dalla presenza di limo e sabbia biancastra sul fondo del lago, una caratteristica singolare difficilmente riscontrabile in altri luoghi.


Un lungo anello in un piccolo paradiso alpino, tra secolari larici, estese macchie di rododendri, sorgenti e tumultuosi torrenti, verticali pareti e vecchi alpeggi. Niente è fuori posto, tutto è in perfetta armonia con la stessa natura. Un itinerario privo di difficoltà, bisogna solo avere tanta voglia di camminare per terre alte!

Dall'autostrada A26 si prosegue fino a Gravellona Toce, per poi continuare sulla superstrada del Sempione. Arrivati a Varzo, si seguono le indicazioni per gli impianti di Ciamporino fino a San Domenico. Si attraversa il piazzale e si scende sempre su strada asfaltata, giungendo in pochi minuti al parcheggio di Ponte Campo (1320 m - 3 euro), dove termina la strada asfaltata.
Subito dopo aver attraversato su di un ponte il torrente Cairasca, si abbandona la strada sterrata e si svolta a destra verso l'agriturismo "La Cascata". Dall'agriturismo si inizia a salire seguendo il marcato sentiero, fino a incrociare nuovamente la strada sterrata (volendo si può anche seguire la strada sterrata, allungando però il percorso). Oltrepassata la sbarra che vieta l'accesso ai mezzi non autorizzati, si prosegue portandosi così sul versante destro (idrografico) della valle. Si guadagna quota rapidamente con una serie di tornanti, fino ad affacciarsi sul profondo canyon dove scorre il torrente Cairasca. Oltrepassato a sinistra il sentiero per l'Alpe Vallé (attrezzato con catene - F97), in breve si arriva alla Cappella del Groppallo (1723 m) dove termina la prima parte di salita. Si prosegue in falsopiano costeggiando la sottostante forra scavata dal torrente, mentre davanti s'intravedono già le cime che fanno da corna alla conca del Veglia, in questo tratto si possono notare i disastri provocati dalle valanghe cadute durante l'inverno, per questo motivo la strada è difficilmente percorribile e molto pericolosa. Arrivati in Loc. Porteia (1710 m) si tralascia a destra il sentiero da cui poi faremo ritorno (F99) e in pochi minuti oltrepassata una croce ed un cancello in legno, si entra nella bucolica piana del Veglia. Alla successiva palina segnavia si tralascia la deviazione a destra (F22) e si prosegue diritti attraversando tutta la piana fino alla Loc. Ponte (1740 m), per chi desidera accorciare il percorso può seguire la deviazione a destra per il Lago Bianco. Attraversato il ponte si continua a seguire il tratturo raggiungendo in breve l'antica struttura dell'Albergo Alpino. Poco dopo giunti alla palina segnavia, si abbandona definitivamente la sterrata e si prosegue seguendo il sentiero a sinistra, salendo in breve al vicino rifugio "Città di Arona" (1750 m). Dietro al rifugio si inizia a seguire il sentiero ben marcato, che si alza all'interno di un bel lariceto. Giunti a un pianoro si tralascia il sentiero a destra per il Passo di Boccareccio (F22a) e l'alpe Devero (F99) e si continua seguendo il sentiero F22, nel fiabesco bosco di vecchi larici, alcuni dei quali divelti dal vento o dai fulmini. Usciti dal bosco nei pressi di una placconata rocciosa, la pendenza aumenta e dopo un serie di svolte in cui si guadagna quota rapidamente si arriva a un bivio. Tralasciato il sentiero a sinistra per la Conca Mottiscia indicata su un masso, si prosegue con un lunga diagonale a mezzacosta. Dopo un un'ultimo strappo il sentiero prosegue in falsopiano fino a raggiungere il Lago Bianco (2157 m). Per il ritorno si seguono i segnavia bianco/rossi che contornano il lago e arrivati alla palina segnavia posta a ridosso di un masso si prosegue verso Pian d'Erbioi/Passo di Boccareccio. Il sentiero piega verso sinistra e dopo aver oltrepassato un piccolo pianoro riprende a salire, per poi scollinare in direzione di Pian d'Erbioi (2265 m). Dalla palina segnavia si prosegue a destra verso l'alpe Veglia (F22), dopo un breve tratto in leggera discesa, si inizia con alcune lunghe svolte a scendere verso il Pian Sass Mor. Senza raggiungere il pianoro sottostante il sentiero prosegue in diagonale verso destra attraversando alcuni torrentelli, per poi scendere fino alle baite di Pian du Scricc (1933 m). Tralasciato il sentiero per l'alpe Veglia (F99), si attraversa verso sinistra il torrente su un ponticello in legno, raggiungendo la successiva palina segnavia, collocata vicino a una bella fontana. Si prosegue seguendo il sentiero a destra per Pian dul Crupp/Pian Stalaregno/La Balma (F22a), tralasciando il sentiero che inizia a salire verso il Passo di Valtendra e l'alpe Devero (F99). Dopo un breve tratto in falsopiano, si sale nuovamente per un breve tratto, sul sentiero sono state collocate alcune colonnine dell'itinerario autoguidato "La foresta del Parco". Raggiunte le baite a Pian dul Crupp (1968 m) si inizia a seguire verso destra la strada sterrata, dopo pochi metri si tralascia il sentiero a sinistra per l'alpe Ciamporino e si continua a seguire la strada sterrata fino a raggiunge la località La Balma (1769 m), altro caratteristico abitato dell’Alpe Veglia con le baite in gran parte ristrutturate. Tralasciato il sentiero per il rifugio Cittò di Arona (F50), si prosegue lungo la strada sterrata in direzione delle sottostanti case che sorgono accanto a un grosso masso erratico (con una evidente spaccatura) alla cui sommità spicca un croce. Dopo aver costeggiato per un tratto il torrente, si arriva nuovamente nella piana del Veglia, seguendo a sinistra ancora per un breve tratto la strada sterrata, giunti in prossimità di una palina segnavia, si abbandona la sterrata e si segue sulla sinistra il sentiero per Ponte Campo/San Domenico/Alpe Vallé (F10). Attraversato su un vecchio ponte in legno il tumultuoso torrente Cairasca si sale incrociando nuovamente la strada sterrata utilizzata all'andata. Da qui si ripercorre il medesimo percorso fino al parcheggio di Ponte Campo.
Malati di Montagna: Pg e l'homo selvadego

si parte da Ponte Campo


Monte Leone dalla piana dell'alpe Veglia
con i sui 3553 m di altezza rappresenta la cima più alta delle Alpi Lepontine


la piana dell'alpe Veglia



Rifugio Città di Arona



verso il Lago Bianco


Lago Bianco o Lago del Bianco 2157 m


Monte Leone...avvolto dalle nuvole



non solo camminare, ma anche fermarsi per osservare....



dal gioiello del Lago Bianco, al piccolo paradiso del Pian d'Erbioi...


uno sguardo verso il Passo di Boccareccio e la Torre Vitali



...per poi scendere verso Pian Sass Mor,
un ampio pianoro al cospetto d'imponenti cime, verdeggiante e ricco d'acqua 



nel bucolico Pian du Scricc



Pian dul Grupp 


La Balma con le sue belle baite ristrutturate



il vecchio ponte in legno sul tumultuoso torrente Cairasca



Questa e altre bellissime escursioni le trovate nella nuova guida scritta dall'amica Marina Morandin, gestore con il marito Enrico del Rifugio Crosta all'alpe Solcio



domenica 18 giugno 2017

Due giorni sul Monte Baldo

Il Monte Baldo si eleva tra il Lago di Garda e la Valle dell'Adige (Val Lagarina), due grandi solchi trasversali della catena alpina che durante il Pleistocene furono incisivamente modellati dai ghiacciai. Il primo giorno si percorre un tratto del "Giro delle Malghe", itinerario circolare di 23 km, per poi proseguire sul “Sentiero Bovi” o “del Marocco” (652), fino al Rifugio Gaetano Barana (2147 m), posto sotto alla cima Telegrafo o Monte Maggiore (2200 m). Si chiama Telegrafo perché dalla sua sommità gli informatori napoleonici mandavano segnali a valle. Dal rifugio, per facile cresta, in pochi minuti si può raggiungere Punta Sascaga (2152 m). Porre un minimo d'attenzione nel tratto centrale del sentiero 652 per la presenza di tratti ripidi, con gradoni sassosi.
Il secondo giorno si percorre la "Via delle creste", lungo il sentiero 651, di gran lunga l'escursione più interessante sul Monte Baldo. Si cammina per ore sulla cresta sommitale, sempre al di sopra dei 2000 metri, seguendo le modulazioni morfologiche, passando da una cima all'altra (Cima Pettorina - Cima Valdritta, la più alta del Monte Baldo - Cima Val Finestra - Cima del Longino - Cima Pozzette), dalle eminenze dolomitiche ai crinali disfatti dalla erosione (EE).
Malati di Montagna: Elena, Francesco, Luca, Franco, Lorenzo, Danilo e l'homo selvadego

Primo giorno
Seguire l'autostrada A4 fino all'uscita di Peschiera, dal casello imboccare la strada statale per Verona/Affi. Giunti ad Affi proseguire sulla SP in direzione Caprino Veronese, arrivati a Caprino seguire l'indicazione per Spiazzi/Ferrara di Monte Baldo, seguendo la SP n° 3 G. Graziani fino a Prà Alpesina. La macchina la si può lasciare nel comodo parcheggio alla partenza della seggiovia (1450 m). Alternativa: da Avio imboccare la "Valle dei mulini" seguendo le indicazioni per S. Valentino. Dopo circa 11 km tralasciare a sinistra la strada per il rif. M. Baldo e proseguire seguento l'indicazione Prà Alpesina.
Dal casotto in legno a poca distanza dall'impianto, si inizia a seguire un tratturo che attraversando i prati scende entrando in un fitto bosco (cartello in legno "Giro delle Malghe"). Proseguendo in falsopiano si arriva alla Malga Trembari (1387 m), dove si abbandona la sterrata che prosegue diritta e si segue sulla destra un'ulteriore sterrata che risale i prati per poi inoltrarsi nuovamente nel bosco. Continuando a salire si esce tra i pascoli di Malga Artillone (1538 m). Raggiunta poco dopo una recinzione si varca il cancello e si scende verso sinistra seguendo la sterrata e l'indicazione per il "Giro delle Malghe". Si scende per un tratto a poca distanza da alcune baite, per poi salire leggermente fino a raggiungere Malga Acquenere (1382 m). Seguendo il sentiero si scende a sinistra incrociando poco dopo il sentiero 652, nei pressi di un pannello con descritto il "Giro delle Malghe". Si tralascia l'indicazione a sinistra per il rifugio M. Baldo/Madonna della Neve e si prosegue verso il rifugio Telegrafo/Strada Graziani. Oltrepassato un torrentello, si sale per un breve tratto fino alla successiva palina segnavia, dove si abbandonano i sentieri 661-80 e si inizia a salire ripidamente continuando a seguire il segnavia 652. Incrociata la strada asfalta Gen. Graziani (1552 m) la si attraversa e si riprende a salire seguendo le indicazioni per Monte Telegrafo/Rif. G. Barana.  Il sentiero inizialmente non presenta nessuna difficoltà e sale in maniera costante con bellissimi scorci sulla valle sottostante. Oltrepassato il bivio a sinistra per Malga Novezza (variante 652), si continua a salire fino a raggiungere la deviazione a destra per Forc. Val Fontanella/Forc. Valdritta, eventuale alterativa per salire al Rif. Telegrafo. Continuando a seguire il sent. 652 tra i pini mughi si arriva nel tratto più faticoso del sentiero, bisogna superare un ripido risalto roccioso, risalendo tra grossi massi, appoggiando a volte le mani. Superato questo tratto il sentiero prosegue più dolcemente con lungo mezzacosta fino a incrociare il sentiero 651 che si dovrà seguire il giorno dopo. Proseguendo verso sinistra in breve si arriva al bivio successivo, tralasciati i sentieri a sinistra per Novezzina (657) e Rif. G. Chierego/Rif. Fiori del Baldo/Bocca di Naole (658), si prosegue ancora in salita verso destra, raggiungendo in pochi minuti la selleta a poca distanza dal rifugio Gaetano Barana della sezione CAI di Verona (2147 m). Prima di raggiungere il rifugio, si consiglia di raggiungere la sovrastante Cima del Telegrafo o Monte Maggiore (2200 m) da cui il panorama è spettacolare. Dalla selletta seguendo la cresta rocciosa a sinistra, in pochi minuti si raggiunge la croce di Punta Sascaga (2152 m). Il rifugio è accogliente e il gestore è simpaticissimo e la cucina è ottima, lo consiglio a tutti coloro che vogliono trascorrere una notte in un rifugio. 





“Sentiero Bovi” o “del Marocco”







Rifugio Gaetano Barana al Telgrafo (2147 m)



Cima Telegrafo o Monte Maggiore (2200 m)


Chiesetta di S. Rosa da Lima
posta accanto al rifugio


verso Punta Sascaga


Punta Sascaga (2152 m)


uno dei tanti motivi per passare una notte in rifugio...




Secondo giorno...una giornata in cresta....!!!
Dalla Cima del Telegrafo (2200 m) si inizia a seguire la cresta verso nord superando Cima Pettorina (2191 m). Si possono osservare sul versante del Lago di Garda il motivo dei circhi glaciali, uno più bello dell'altro per il perfetto stato di conservazione, come se la massa di ghiaccio si fosse dissolta da poco tempo. Sul versante opposto verso la Valle dell'Adige, la scarpata è incisa da lunghi canaloni che raccolgono le acque di scioglimento nivale dei ventagli errosivi superiori, simili a imbuti. Incrociata la mulattiera militare (sent. 651) si inizia a seguirla, passando a poche decine di metri dalla cresta, che ogni tanto si raggiunge in corrispondenza delle spalliere dei circhi. A circa metà del percorso, in corrispondenza della Forcella Valdritta si abbandona momentaneamente. la mulattiera e seguendo il sentiero a sinistra si prosegue verso Cima Valdritta (scritta su un masso). Oltre a essere la più alta delle cime del Baldo, per la sua conformazione dolomitica e la sua posizione isolata, è sicuramente la più bella. Dopo aver costeggiato alcune caverne scavate durante la grande guerra, si arriva alla croce della cima (2218 m), firmato il libro di vetta, nuvole permettendo si può ammirare un panorama vastissimo. Ritornati sulla mulattiera il sentiero alterna tratti ripidi e in certi punti franosi, attraversando estese macchie di mughi. Superato l'unico tratto attrezzato con una catena, utile in caso di ghiaccio, si inizia la salita verso la Cima Pozzette (2128 m), ultima elevazione della lunga cresta. Raggiunta la vetta non rimane che scendere attraversando splendidi ammanti di rododendri e praterie fino all'arrivo della seggiovia di Prà Alpesina. Seguendo le indicazioni sulla palina segnavia si segue la strada sterrata raggiungendo in pochi minuti la palina segnavia a Tratto Spin (Tredes Spin), arrivo della funivia che sale da Malcesine. Seguendo sulla destra le indicazioni per la stazione di partenza della seggiovia, si inizia a scendere percorrendo il "Sentiero naturalistico", corredato da interessanti pannelli didattici. Arrivati sulla strada asfalta, non rimane che seguirla verso destra fino a raggiungere nuovamente il parcheggio della seggiovia.

il risveglio...


si riparte dalla Cima Telegrafo o Monte Maggiore (2200 m)


non esiste percorso in cresta senza la presenza delle nuvole...!!!



ma i panorami non mancano comunque....!!!



anfiteatro dolomitico



dalla Forcella Valdritta.


verso Cima Valdritta


caverne della Grande Guerra


Cima Valdritta 2218 m
la più alta di tutta la catena, sul confine tra Trentino e Veneto
Franco, Danilo, Elena, Luca, Francesco




ritornati a Forcella Valdritta si continua a seguire il sent. 651


breve tratto con catena




Cima delle Pozzette (2132 m)


la discesa dalla Cima delle Pozzette


qualche omino....!!!


Sentiero Naturalistico da Bocca Tratto Spino a Prà Alpesina