Il mio zaino non è solo carico di materiali e di viveri:
dentro ci sono la mia educazione, i miei affetti, i miei ricordi, il mio carattere, la mia solitudine.
In montagna non porto il meglio di me stesso: porto me stesso, nel bene e nel male.
Renato Casarotto

Ho imparato che tutti quanti vogliono vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel come questa montagna è stata scalata.
Gabriel García Márquez

sabato 23 febbraio 2013

UCCISO IL POVERO ORSO M13 – IL WWF CONDANNA


Alla fine le autorità svizzere hanno scelto la strada più semplice e che faceva spendere meno.
Data la visibile presenza dell'innocuo orso, che aveva il solo difetto di manifestarsi, tanto che in Val Poschiavo qualcuno intelligentemente pensava di farne un'attrattiva turistica, e dati gli irrazionali timori di qualche cittadino, tra tutte le opzioni possibili per rassicurare i tremebondi valligiani, tra cui addormentare l'orso e trasportarlo altrove, hanno scelto l'opzione più umana: una pallottola e via, secondo la cruda norma elvetica. A quanto pare sarà imbalsamato ed esposto in un museo, così potrà contribuire con la sua presenza ad aumentarne gli introiti. Geniali le autorità svizzere: invece di spendere quattro soldi e un po' di tempo per spostare l'orso, trovano il modo di eliminarlo a poco prezzo e trarne degli utili. Per certe cose bisogna essere portati.

domenica 17 febbraio 2013

Al rifugio Grand Tournalin...con nevischio e sole...!?!

Dall'uscita del casello autostradale  di Verrès seguire le indicazioni per Champoluc e Brusson e dopo aver attraversato parte dell'abitato di Verrès immettersi sulla strada regionale che risale tutta la Valle d'Ayas fino all'abitato di Saint-Jacques 1689 m. Davanti alla graziosa chiesetta del borgo si può lasciare l'auto nel piccolo parcheggio, meglio non arrivare troppo tardi per non trovare posto.
Oggi il meteo non è dalla nostra parte lo si capisce subito appena scesi dall'auto, peccato perché l'escursione sarebbe stata un eccezionale balcone panoramico sulla catena del Rosa. Il percorso si svolge quasi interamente sulla strada sterrata che d'estate sale fino al rifugio, abbiamo constato che vi sono due possibilità per poterla raggiungere. La prima consiste nel proseguire sulla stradina asfaltata a lato della chiesetta e dopo una decina di metri dalla palina segnavia attraversare il ponte sull'Evançon e subito dopo seguire la mulattiera a destra contrassegnata con il simbolo dell'Alta Via n. 1-4-4A. Raggiunto il piccolo abitato di Pelioz 1722 m, dove è localizzato il Bed & Breakfast Alta Via, seguendo i segnavia riportandoci a sinistra e costeggiato uno steccato raggiungiamo i pascoli sottostanti i graziosi chalets di Droles 1760 m, ritrovati i segnavia, in pochi minuti continuando verso destra dopo un breve tratto di ripida salita arriviamo sulla sovrastante strada sterrata. La seconda possibilità anche se più lunga è a nostro parere la meno faticosa e anche la più battuta, per cui la più semplice, dal parcheggio si prosegue sulla medesima strada giungendo in fondo al paese, in prossimità di una cappella svoltiamo a sinistra attraversando il ponte, poco dopo tralasciamo lo stradina a sinistra per il B&B Alta Via e proseguendo in leggera salita arriviamo a un bivio, dove sulla sinistra di fronte a una cappella inizia la strada sterrata che conduce al rifugio. In entrambi i casi il percorso si sviluppa in un bel bosco di larici, oltrepassata l'alpe Croués 1870 m, per abbreviare il tragitto sfruttiamo alcuni tagli, sbucando nei pascoli sottostanti l'alpe Nannaz desot 2049 m. Continuiamo a salire seguendo la strada e in breve giungiamo in un bel pianoro, costeggiamo il torrente e mantenendo la destra orografica attraversiamo l'ameno pianoro al cospetto della Bec de Nannaz. Al termine del pianoro attraversiamo un ponticello in legno e proseguendo verso sinistra andiamo nuovamente a incrociare la strada che seguiamo fino all'alpe Nannaz damon 2193 m. Da qui in poi  bisogna proseguire solo avendo precedentemente acquisito informazioni sullo stato della neve, consultando il bollettino valanghe ed eventualmente avendo chiesto anche al gestore del rifugio. Proseguiamo a sinistra delle baite seguendo le evidenti tracce degli sci alpinisti, passati alti sul sottostante alpeggio Tournalin desot 2278 m, pieghiamo decisamente a destra entrando in un'ampia conca. Inizia a nevischiare, ma le nuvole rimangono alte garantendoci una buona visibilità, lentamente saliamo arrivando all'alpeggio Tournalin damon dove è situato il rifugio Grand Tournalin 2535 m, costruito nel 1994 dalla famiglia Becquet. Siamo soli, anche gli ultimi sciatori sono scesi, dopo aver sorseggiato un bicchiere di tè, decidiamo di scendere, prima di allontanarci le nuvole si diradano e solo per pochi istanti il sole illumina la conca…da ritornarci magari senza neve...
La discesa la effettuiamo sullo stesso itinerario dell'andata.
Malati di Montagna: Pg, Danilo e Fabio






avendo dimenticato di accendere il gps, considerare la quota di partenza, la quota minima
dislivello 840 m

mercoledì 13 febbraio 2013

Amare la montagna


domenica 10 febbraio 2013

Attrazione Val Grande

Dall'autostrada A26 - Gravellona Toce, continuiamo sulla SS33 del Sempione fino all'uscita di Piedimulera, seguiamo le indicazioni per Vogogna oltrepassando un paio di rotonde e dopo aver attraversato il fiume Toce svoltiamo a sinistra entrando in una piccola galleria, dopo qualche chilometro arriviamo a Prata 231 m.
Parcheggiamo nel piazzale antistante la chiesa, la temperatura è particolarmente rigida ma di nuvole non se ne vede nemmeno l'ombra… Ci incamminiamo verso sinistra sulla strada asfalta, in direzione opposta da dove siamo venuti, dopo pochi minuti in corrispondenza del cartello stradale "Regione Canale" svoltiamo a destra e dopo una decina metri sulla sinistra accanto a una chiesetta troviamo l'inizio dell'itinerario segnalato da una palina segnavia. Il primo tratto si svolge su un'ampia mulattiera lastricata che conduce a una casa, dietro la quale inizia il sentiero segnalato con segni di vernice bianco/rossi che in breve giunge sui prati ai piedi della torre del Bulfer 325 m, risalente al XIII sec.
Proseguiamo sulla sinistra, dove ritroviamo il sentiero e una palina segnavia che ci indica la giusta direzione da tenere. Ci inoltriamo nel bosco guadagnando quota costantemente senza particolari difficoltà, raggiungendo la solitaria baita Runcass. Dopo un breve tratto in piano riprendiamo a salire arrivando brevemente ai ruderi dell'alpe Bisigunsc 480 m, all'esterno di una delle baite è stato posto un pannello del CAI di Villadossola che descrive la storia del luogo in cui ci troviamo. A destra appoggiata sul terreno possiamo notare una "preia", pietra che fungeva da contrappeso del torchio presumibilmente del 1700 e che ha funzionato fino al 1900 circa, queste zone oltre a essere coltivate a vigneto, veniva anche prodotta la segala, pianta seminata in autunno ed in luglio raccolta dalle donne che caricavano sulla caula per trasportarla in un posto chiamato "arial".
Continuando sulla sinistra incontriamo vicino al sentiero alcuni sostegni in pietra usati le vigne, oltrepassiamo altre baite e senza quasi accorgercene ci ritroviamo all'alpe Fonten 557 m, con la sua cappella del 1700 circa, ormai ridotta quasi a un rudere, le immagini all'interno sono quasi completamente cancellate dal tempo.
Passiamo tra le baite ormai inglobate nel bosco, per poi piegare verso destra e attraversato alcuni ruscelletti riprendiamo a salire con più decisione, ci meravigliamo come abbiano potuto realizzare questo sentiero in questi luoghi selvaggi e apparentemente ostili. Con un percorso tortuoso saliamo a delle baite diroccate, riprendiamo a salire e seguendo attentamente i segni di vernice bianco/rossi sulle rocce e sugli alberi, in pochi minuti ci ritroviamo fuori dal bosco in prossimità di una palina segnavia che ci indica che siamo all'alpe Aurinasca dentro 976 m, in breve proseguendo a sinistra arriviamo all'alpe Aurinasca Sopra. Rimaniamo estasiati dal panorama sulla piana Ossolana, ma soprattutto sul gruppo del Rosa che si erge nella sua maestosità verso il cielo azzurro. Ci fermiamo per una meritata sosta accanto alla cappella edificata nel 1928, nel frattempo veniamo raggiunti da un cordiale signore proprietario di una delle baite, il quale ci racconta di come una volta tutto questo versante era coltivato e che si potevano scorgere le baite dell'alpe Aurinasca anche dal fondovalle. A malincuore lasciamo questo angolo di paradiso e riprendiamo il cammino, dalla palina segnavia iniziamo a scendere in direzione di Cuzzego, subito dopo aver oltrepassato le baite di Aurinasca di Fuori, il sentiero inizia a scendere ripidamente lungo il fianco roccioso della montagna, all'interno del bosco alcuni singoli esemplari di larice si ergono isolati al confine del cielo. Il larice è un albero forte e tenace. Solitario come il camoscio che qui in Val Grande è di casa.
Ben presto arriviamo all'alpe Luera 901 m (le luere erano fosse scavate dai montanari a cielo aperto con un'esca viva oppure coperte da rami per farvi cadere dentro il lupo e quindi ucciderlo), anche da qui il panorama è splendido e vale la pena soffermarsi qualche istante. Il sentiero prosegue a destra rientrando nel bosco, vi sono molte tracce, per cui bisogna stare attenti ai rari segni di vernice, rimanendo il più possibile sul sentiero principale che a volte è ricoperto dal folto fogliame. Giungiamo sugli ampi prati dell'alpe Cortigo 722 m e proseguendo arriviamo al nucleo di baite di Buretti 429 m, l'ultimo abitante fu una certa Rulanda che abitò questa località fino al 1910 circa. Dopo l'immancabile cappelletta ci ritroviamo a un bivio, proseguiamo verso sinistra, ritrovandoci ormai sopra ai tetti delle case di Cuzzego, oltrepassa un'ulteriore cappella, l'unica incontrata oggi in cui si possono ancora ben distinguere i dipinti all'interno, arriviamo in paese. Continuiamo tra le strette vie, arrivando alla chiesa dedicata a San Giovanni Battista, da qui raggiungiamo la strada principale e proseguendo verso sinistra, in poco meno di 15 minuti ritorniamo a Prata dove abbiamo lasciato l'auto.
Percorso che si svolge su sentieri che, benché segnalati, richiedono un minimo di preparazione sia alle camminate che all'ambiente montano.
Malati di Montagna: Pg, Danilo e Fabio

Andavo a fare erba in Valgranda: erba dura, pesante, che scivolava dalle mani e tagliava la pelle. Dovevi tenerla stretta perché se no ti davi di quelle meulate. Era buona, durava tanto e le mucche la mangiavano volentieri quando pioveva.
Ricorda un'alpigiana di questi monti

sostegni in pietra usati per le vigne


vecchie baite...vecchi sentieri


alpe Aurinasca


lo splendido panorama da Aurinasca Sopra


verso Aurinasca di Fuori


Danilo e Pg e sullo sfondo il Pizzo Camino


la chiesa di Prata

sabato 9 febbraio 2013

Giorno del Ricordo

Il 10 febbraio è il giorno che l'Italia dedica alla memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle Foibe e dell'Esodo dalle loro terre degli Istriani, Fiumani e Dalmati.


Alla fine della Seconda guerra mondiale, mentre tutta l'Italia, grazie all'esercito Anglo-Americano, veniva liberata dall'occupazione nazista, a Trieste e nell'Istria (sino ad allora territorio italiano) si è vissuto l'inizio di una tragedia: la "liberazione" avvenne ad opera dell'esercito comunista jugoslavo agli ordini del maresciallo Tito.
350.000 italiani abitanti dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia dovettero scappare ed abbandonare la loro terra, le case, il lavoro, gli amici e gli affetti incalzati dalle bande armate jugoslave. Decine di migliaia furono uccisi nelle Foibe o nei campi di concentramento titini. La loro colpa era di essere italiani e di non voler cadere sotto un regime comunista.
Trieste, dopo aver subito più di un mese di occupazione jugoslava, ancora oggi ricordati come "i quaranta giorni del terrore", visse per 9 anni sotto il controllo di un Governo Militare Alleato (americano ed inglese), in attesa che le diplomazie decidessero la sua sorte.
Solo nell'ottobre del 1954 l'Italia prese il pieno controllo di Trieste, lasciando l'Istria all'amministrazione jugoslava.
E solo nel 1975, con il Trattato di Osimo, l'Italia rinunciò definitivamente, e senza alcuna contropartita, ad ogni pretesa su parte dell'Istria, terra italiana sin da quando era provincia dell'Impero romano.

domenica 3 febbraio 2013

Dove il tempo pare davvero essersi fermato...

Dall'autostrada a A26 proseguiamo fino a Gravellona Toce, per poi continuare sulla SS33 del Sempione, fino all'uscita di Piedimulera-Vogogna. Arrivati a Vogona percorriamo via Nazionale per alcuni chilometri, per poi lasciare la macchina nel parcheggio rialzato sulla destra, dietro alla Banca Popolare di Novara.
Vogogna si trova a 226 m slm ed è un antico paese immerso nel verde della Valle Ossola e a pochi chilometri dai magnifici laghi, Maggiore, Orta, Mergozzo. La giornata si presenta ventosa ma con un cielo azzurro che risalta le cime innevate attorno, ci dirigiamo verso il borgo medievale, rivalorizzato dalla pavimentazione in ciottoli di fiume, seguendo alcuni pannelli didattici raggiungiamo in pochi minuti il Palazzo Pretorio, sede fino al 1819 del Governo dell’Ossola inferiore, dalla chiesa del XVI sec. dedicata a Santa Marta, seguiamo sulla sinistra il vicolo, giungendo in pochi istanti al castello.
La sua costruzione è attribuita a Giovanni Visconti nell'ambito di un più ampio piano di rafforzamento della rete difensiva del Ducato di Milano contro possibili incursioni vallesane dalla Svizzera. Progettato con funzioni militari e difensive, venne inglobato nel sistema perimetrale che racchiude il Borgo.
Costeggiamo sulla destra per un breve tratto le mura del castello e attraversato il torrente su un ponte imbocchiamo la mulattiera che con ripida ascesa raggiunge la piccola frazione di Genestredo, 362 m.
L'antico villaggio agricolo sorge su uno splendido balcone a solatio, le case di pietra addossate le une alle altre e percorse da stretti vicoli ricordano la sua impronta strettamente rurale. Genestredo è uno dei tre nuclei rurali ancora abitati, tutelati dal Parco Nazionale Val Grande; gli altri sono Colloro e Cicogna, la "piccola capitale".
Dalla graziosa piazzetta con fontana tralasciamo l'indicazione per la Rocca da cui faremo ritorno e continuiamo diritti da dove siamo venuti arrivando al sovrastante parcheggio accanto alla chiesetta di S. Martino. Seguiamo la strada asfaltata per una decina di metri per poi proseguire a destra seguendo il sentiero contrassegnato su una pietra come A34, purtroppo non vi è nessuna palina segnavia che indichi dove porti…!!! Dopo un breve tratto in falsopiano costeggiando una casa, il sentiero si impenna bruscamente facendoci guadagnare velocemente quota, arrivati a un bivio deviamo a sinistra seguendo il sentiero per La Ca" segnalato da una grossa freccia rossa e dalla scritta "forza, coraggio, alegar".
Il nostro suggerimento è di intraprendere questo tratto di sentiero fino all'alpeggio senza fretta, il motivo sono gli innumerevoli piccoli cartelli collocati sugli alberi con proverbi e frasi alcuni in dialetto che fanno sorridere e al tempo stesso riflettere… Giunti a La Ca proseguiamo diritti arrivando in pochi minuti ad una cappella, continuiamo a salire nel bosco incontrando alcuni alpeggi ormai abbandonati, a ricordo di una vita passata che non tornerà più...o forse... Ben presto arriviamo ad un bivio nei pressi di un colletto, pieghiamo verso destra salendo alla base di un traliccio per l'alta tensione, il sentiero segue ora il profilo della dorsale facendoci guadagnare velocemente quota, a sinistra sul versante opposto si vedono le baite dell'alpe Marona e al centro del vallone i resti della cava della Cremosina, dove si ricavavano le beole. Il vento soffiando tra gli alberi crea strani rumori, talvolta alquanto sinistri, non per niente siamo nell'area più selvaggia d'Europa…!!! Giungiamo finalmente alle baite diroccate dell'alpe Pianoni (I Casai) 935 m, il sentiero prosegue in salita sulla sinistra delle baite per poi piegare verso destra arrivando a un bivio, tralasciando la traccia sulla sinistra verso l'alpe Sui e l'alpe Marrona, continuiamo invece diritti verso l'alpe Capraga. Il sentiero dopo un tratto in falsopiano scende lungo un canalino attrezzato con alcune catene, per poi proseguire più agevolmente arrivando a Bortual 951 m indicato sulle carte come Capraga (Cravaga in dialetto, luogo delle capre). Vale la pena visitarlo perché le case sono strette le une alle altre in un groviglio di viuzze e di passaggi coperti. Seguendo i segnavia raggiungiamo una palina segnavia accanto a una fonte, proseguiamo in direzione di S. Bernardo scendendo lungo la stradina asfaltata ad uso privato. Dopo una serie di tornanti in un tratto di strada pianeggiante in vista della chiesa, seguiamo il sentiero a destra che scende verso i rustici di Biogno 818 m (Biuagn), antico paese con belle case di pietra, in perfetta armonia con l'ambiente circostante. Volgendo ora a sinistra dopo aver attraversato il torrente, in breve arriviamo alla graziosa chiesa di San Bernardo del XV sec., dove ci fermiamo per la meritata pausa ristoratrice. Dalla palina segnavia accanto alla chiesa proseguiamo in direzione di Colloro, raggiunta una cappella ci soffermiamo qualche istante ammirando il panorama. Riprendiamo a scendere lungo la mulattiera entrando nel bosco, il percorso perde quota gradatamente e senza quasi accorgercene arriviamo nella piazzetta della frazione di Colloro, frazione del Comune di Premosello Chiovenda, adagiata su una solare terrazza che domina l'Ossola fino al lago Maggiore ed è punto di partenza o arrivo della famosa traversata classica della Val Grande.
Dalla Chiesa di S. Gottardo (XVI sec.) seguiamo sulla destra via Fontana, arrivati a una fermata del bus proseguiamo diritti seguendo le indicazioni per il torchio, ci inoltriamo tra le antiche abitazioni, su una delle quali troviamo l'indicazione per Vogogna, al termine del paese ci immettiamo sul sentiero, che all'inizio risulterà ampio ma che man mano che si prosegue si restringerà. Fino al bivio il percorso segue le curve della montagna senza particolari difficoltà, dal bivio proseguiamo a sinistra tralasciando la deviazione sulla destra per la palestra di roccia (noi siamo saliti fino alla base della parete dove abbiamo trovato alcuni ragazzi che si accingevano a percorrere alcune vie). Al bivio sulla sinistra dietro a una grossa roccia troviamo sul segnavia rosso/giallo/roosso l'indicazione per "la Rocca", un grosso ramo sbarra l'accesso a questo sentiero non sappiamo se è stato messo apposta per proibire il proseguimento o se involontariamente è caduto. Noi comunque l'abbiamo percorso fino alla Rocca e a nostro giudizio è sicuramente un sentiero poco frequentato con alcuni passaggi che richiedo cautela e l'uso delle mani, è comunque sempre segnato, da alcune frecce e da qualche bollo arancione, una curiosità che abbiamo incontrato su alcuni grossi blocchi di pietra, alcune piante di fichi d'india con annessi frutti e una piccola vipera che fuggiva sul sentiero…siamo agli inizi di febbraio…!!! Arrivati al bivio per la Rocca prima di ritornare a Genestredo decidiamo di seguire il sentiero a sinistra arrivando dopo pochi minuti alla Rocca. È sicuramente una visita che non può mancare anche perché da questa posizione il panorama sull'Ossola è davvero eccezionale. Ritornati al bivio proseguiamo diritti e attraversato un ruscello in breve ritorniamo a Genestredo da qui in poi ripercorriamo il medesimo sentiero fatto al mattino. In conclusione bisogna proprio ammettere che entrare in Val Grande è come varcare un mondo che forse non esiste più in nessuna altra parte d'Italia, non per niente è l'area wildrness più vasta d'Europa.
Malati di Montagna: Pg, Danilo e Fabio

by Danilo
chissà dove vuole andare...!!!


by Fabio
Castello Visconteo a Vogogna


Genestredo


sul sentiero per Capraga


verso la chiesa di San Bernardo


sul sentiero per Colloro


verso la "Rocca"


la Rocca di Vogogna

sabato 2 febbraio 2013

San Biagio e il panettone «ritardatario»


Il panettone di San Biagio è una tradizione di Milano poco conosciuta al di fuori dei confini della città, ma utilissima per finire i panettoni avanzati dalle feste di Natale.

Perché bisogna mangiare il panettone di San Biagio? E’ presto detto: il 3 febbraio è la giornata che la chiesa cattolica dedica alla celebrazione di San Biagio, una figura che secondo la tradizione popolare milanese ‘benedis la gola e él nas‘. I milanesi, infatti, sono soliti mangiare un panettone benedetto proprio in questa giornata (anche se non è freschissimo, anzi meglio).

Chi era San Biagio
San Biagio era un medico armeno, vissuto nel III secolo d.C.: si narra che compì un miracolo quando una madre disperata gli portò il figlio morente per una lisca conficcata in gola. San Biagio gli diede una grossa mollica di pane che, scendendo in gola, rimosse la lisca salvando il ragazzo. Inutile aggiungere che, dopo aver subito il martirio, Biagio venne fatto santo e dichiarato protettore della gola.

La tradizione del panettone di San Biagio a Milano
Il legame con la città di Milano, però, arrivò molto più tardi: una massaia prima di Natale portò a un frate un panettone perché lo benedicesse. Essendo molto impegnato, il frate – che si chiamava Desiderio – le disse di lasciarglielo e passare nei giorni successivi a riprenderlo. Ma la donna se ne dimenticò e frate Desiderio, dopo averlo benedetto, iniziò a sbocconcellarlo finché si accorse di averlo finito.
La donna si ripresentò a chiedere il suo panettone benedetto proprio il 3 febbraio, giorno di San Biagio: il frate si preparò a consegnarle l’involucro vuoto e a scusarsi, ma al momento di consegnarglielo si accorse che nell'involucro era comparso un panettone grosso il doppio rispetto all'originale. Era stato un miracolo di San Biagio, che diede il via alla tradizione di portare un panettone avanzato a benedire ogni 3 febbraio e poi mangiarlo a colazione  per proteggere la gola.