Il mio zaino non è solo carico di materiali e di viveri: dentro ci sono la mia educazione, i miei affetti, i miei ricordi, il mio carattere, la mia solitudine. In montagna non porto il meglio di me stesso: porto me stesso, nel bene e nel male.
Renato Casarotto

Voi ammirate l'uomo che si spinge avanti, verso la cima, in ogni campo della vita, mentre noi ammiriamo l'uomo che abbandona il suo ego.
Sette anni in Tibet

mercoledì 18 gennaio 2012

aria sottile di Jon Krakauer


Il 10 maggio 1996 una tempesta colse di sorpresa quattro spedizioni alpinistiche che si trovavano sulla cima dell'Everest. Morirono 9 alpinisti, incluse due delle migliori guide. Con questo libro, l'autore, che è uno dei fortunati che riuscirono a ridiscendere "la Montagna", scrive non solo la cronaca di quella tragedia ma intende anche fornire importanti informazioni sulla storia e sulla tecnica delle ascensioni all'Everest. Offre inoltre un esame provocatorio delle motivazioni che stanno dietro alle ascensioni ad alta quota, nonché una drammatica testimonianza del perché quella tragedia si poteva evitare.
Quello che mi ha colpito di più dell'intero libro è il il messaggio diffuso su Internet il 14 ottobre 1996 nell'ambito di un forum sull'Everest organizzato in Sudafrica, che Krakauer ha posto in epigrafe al suo libro, direi molto opportunamente:

Sono l'orfano di uno sherpa. Mio padre è rimasto ucciso sulla seraccata del Khumbu [tra il campo base e il campo uno], mentre faceva da portatore per una spedizione verso la fine degli anni Sessanta. Mia madre è morta poco più a valle di Pheriche, quando il suo cuore ha ceduto sotto il peso del carico che stava trasportando per un'altra spedizione, nel 1970. Tre dei miei fratelli sono morti per vari motivi, mia sorella e io siamo stati inviati presso famiglie adottive in Europa e negli Stati Uniti. Non sono mai tornato nel mio paese perché sento che è maledetto. I miei avi giunsero nella regione del Solo-Khumbu per sfuggire alle persecuzioni nelle pianure, e là trovarono asilo all'ombra di 'Sagarmathaji', la 'dea madre della terra' [la divinità dell'Everest]. In cambio ci si aspettava da loro che proteggessero dagli estranei il santuario della dea. 
Invece il mio popolo si è rivolto nella direzione opposta, aiutando gli estranei a insinuarsi in quel santuario e a violare ogni parte del suo corpo montandovi sopra, gettando grida stridule di trionfo, insozzando e profanando il suo seno. Alcuni di essi sono scampati per il rotto della cuffia, oppure hanno offerto altre vite in vece loro... Quindi credo che anche gli sherpa siano da biasimare per la tragedia del 1996 su 'Sagarmatha' [l'Everest]. Non rimpiango di non essere tornato, perché so che la popolazione della zona è condannata, e lo sono anche quegli stranieri ricchi e arroganti che credono di aver conquistato il mondo. Ricordatevi del Titanic. Anche l'Inaffondabile affondò, e cosa sono degli stupidi mortali come Weathers, Pittman, Fischer, Lopsang, Tenzing, Messner, Bonington, al cospetto della 'Dea Madre'? 
Pertanto ho giurato di non tornare mai in patria, per non prendere parte a quel sacrilegio.

1 commento:

  1. ho letto il libro tanti anni fa, poi incuriosito dall'evento ho letto anche: Everest 1996 - Cronaca di un salvataggio impossibile
    Sottotitolo: (Titolo originale: The Climb)
    Autore: Anatolij Nikolaevic Bukreev
    e ho capito tante cose che Krakauer non dice...

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