Il mio zaino non è solo carico di materiali e di viveri: dentro ci sono la mia educazione, i miei affetti, i miei ricordi, il mio carattere, la mia solitudine. In montagna non porto il meglio di me stesso: porto me stesso, nel bene e nel male.
Renato Casarotto

Le montagne sono di tutti, ma non sono per tutti: sono per chi le ama e le rispetta, per chi vuole viverle e conoscerle, per chi non prevarica con il proprio io la loro esistenza e armonia.
Mario Rigoni Stern

sabato 24 ottobre 2015

In cresta sulla "Resega"

La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l'uno detto di san Martino, l'altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune.
dai "I promessi sposi" di Alessandro Manzoni



L’escursione richiede esperienza in montagna e un buon allenamento, il tratto in cresta è riservato alle persone che hanno un passo sicuro e che non soffrono di vertigini (EE).

Da Milano si segue l'autostrada A4 fino all'uscita di Dalmine, per poi continuare sulla statale 470 Dalmine/Villa D’Almè. Alla rotonda di Villa D’Almè seguendo le indicazioni per la Valle Imagna, si prosegue sulla provinciale 14 fino ad arrivare a S. Omobono. Dal centro del paese si svolta a sinistra, tralasciando la strada che prosegue diritta per Fuipiano. Arrivati a Brumano poco dopo il municipio si sale a sinistra nel parcheggio sopraelevato accanto alla chiesa di San Bartolomeo dove si lascia l'auto 915 m.
Dal parcheggio si sale verso la chiesa e oltrepassata una fontanella si prosegue seguendo il sentiero 13, indicato da un cartello segnavia su un muro. Incrociata la strada asfalta la si segue verso sinistra fino a raggiungere una cappella, oltre la quale seguendo i segnavia bianco/rossi si riprende a salire su sentiero, per poi incrociare nuovamente la strada. Si continua per un breve tratto e subito dopo aver oltrepassata un'azienda agricola che produce formaggi, si imbocca il sentiero che sale verso sinistra attraversando alcuni prati fino a incrociare la strada. Dopo poche decine di metri arrivati all'altezza di un tornante, si tralascia il sentiero che sale a destra, dal quale poi si farà ritorno e si prosegue in piano sull'ampia mulattiera, seguendo le indicazioni per il Rifugio Alpinisti Monzesi, indicate da un cartello a forma di casetta.
Entrati nel bosco si attraversa un torrentello in secca e in leggera salita si arriva a un bivio, tralasciato il sentiero a destra 587, si prosegue seguendo le indicazioni per il Passo della Passata 576. Usciti in una radura si sale a destra verso una cascina, accanto alla quale possiamo ammirare un bellissimo faggio secolare. Il sentiero continua ancora per qualche minuto, per poi incrociare per l'ultima volta la strada asfaltata, che si segue per un breve tratto a sinistra, per poi abbandonarla in prossimità di una curva a destra. Si riprende il sentiero 576 che perdendo leggermente quota rientra nuovamente nel bosco, per poi continuare in falsopiano fino a raggiungere il passo "La Porta" 1123 m. Tralasciato a sinistra il sentiero 586 per Rota Imagna, dalla palina segnavia si prosegue sulla DOL (Dorsale Orobica Lecchese), iniziando a scendere a destra per alcuni metri, per poi continuare ancora in falsopiano raggiungendo lo storico valico della Passata 1244 m, dove è ancora presente il cippo di confine fra Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia. Da qui prende avvio la "Via delle Creste", il sentiero è riservato a escursionisti esperti, l'inizio è indicato da una palina segnavia accanto a un bel crocifisso. Si sale subito con decisione alle spalle della casa e dopo aver oltrepassato l'unico tratto attrezzato con delle catene, si inizia a percorrere il ripido e faticoso sentiero che segue la cresta sud del Monte Resegone.
Si raggiunge al termine di una ripida salita la cima Quarenghi 1636 m e dopo aver ammirato lo straordinario panorama, si inizia a scendere fino a una bocchetta, tralasciato a destra il sentiero 589 che scende a Brumano, si prosegue sul versante della Valle Imagna contornando "I Solitari". Raggiunto il successivo intaglio, si tralasciano i sentieri a sinistra per i rifugi Alpinisti Monzesi/Ghislandi al P.so del Fò/Stoppani e a destra per Brumano e si continua a seguire il segnavia 571. Tra affioramenti rocciosi, guglie e pinnacoli ci si mantieni più o meno in cresta salendo al Pizzo Brumano 1758 m e successivamente verso il Pizzo Daina 1864 m. La grande croce della Punta Cermenati sembra oramai vicina, ma dopo un'ulteriore perdita di quota bisogna affrontare l'ultima salita, dove è necessario utilizzare anche le mani nel superamento di alcuni brevi tratti rocciosi. Raggiunta la palina segnavia, si tralascia momentaneamente il sentiero a destra per Brumano che si utilizzerà al ritorno e in breve si arriva al rifugio Azzoni 1860 m, da qui in breve si arriva alla Punta Cermenati 1875 m, una meridiana mostra le cime che si possono osservare da quassù.
Per il ritorno dalla palina segnavia si seguono le indicazioni per Brumano/Morterone, il sentiero inizia a perdere quota velocemente sul versante nord del Resegone, per poi proseguire all'interno del bosco. Arrivati al Colletto di Brumano 1500, si abbandona il sentiero 17 che prosegue verso Morterone/Sorgente Forbesette/Forcella Olino e seguendo le indicazioni sulla palina segnavia (13) si continua a scendere a destra. Ai bivi successivi, con attenzione si seguono le indicazioni per Brumano/La Passata/Rifugio Resegone, rimettendosi sul sentiero della DOL (Dorsale Orobica Lecchese). Usciti dal bosco si arriva in località Croci/Pradospino dove dal 2013 sorge il rifugio Resegone, della Sottosezione CAI Valle Imagna 1265 m . Dal rifugio si segue per un breve tratto la strada sterrata, per poi abbandonarla all'altezza di curva, riprendendo il sentiero 587 sulla destra. Seguendo i segnavia senza particolari problemi si ritorna al bivio incontrato al mattino, dal quale si ripercorre il medesimo itinerario fino alla chiesa di Brumano.
Malati di Montagna: Lorenzo, Pg, Danilo e l'Homo Selvadego

sui denti della "Resega"




Cima Quarenghi 1637 m


Punta Cermenati 1875 m


meridiana accanto alla croce


rifugio Azzoni 1860 m



domenica 11 ottobre 2015

Al "cancc zèrp" o semplicemente Monte Cancervo

Il monte Cancervo è una bastionata rocciosa situata a nord ovest dell’abitato di San Giovanni Bianco, si erge maestoso con le sue rocce ed i suoi torrioni sopra il bellissimo altopiano erboso dove giacciono in amena posizione i villaggi di Pianca e Brembella. L’itinerario effettuato si sviluppa in una zona di grande interesse paesaggistico e naturalistico.

Da Milano si segue l'autostrada A4 sino all'uscita di Dalmine per poi continuare sulla statale 470 Dalmine/Villa D’Almè. Alla rotonda di Villa D’Almè si seguono le indicazioni per San Pellegrino Terme, risalendo la Valle Brembana fino a San Giovanni Bianco. Dal paese si svolta a sinistra per la Valle Taleggio e dopo circa 900 metri si svolta a destra seguendo le indicazioni per Pianca, raggiunto il piccolo borgo di Pianca 810 m, si parcheggia vicino alla Chiesa dedicata a Sant'Antonio Abate. La chiesa è stata restaurata recentemente grazie ai fondi raccolti dai trenta abitanti, pensionati e contadini!
Tralasciato a sinistra il "Sentiero Partigiano" (131), si prosegue verso il paese, subito dopo le prime case, sulla destra inizia il sentiero 102 contrassegnato dai segni di vernice bianco/rossi. Si sale tra le strette viuzze del paese e poco dopo aver costeggiato alcuni orti si incrocia la strada asfalta, dalla quale poi faremo ritorno. Attraversata la strada in breve si esce tra i verdi pascoli, con alcune mucche che pascolano beatamente. Oltrepassata una stalla, il sentiero entra in un luminoso bosco di betulle, faggi ed eriche, si continua a salire a mezza costa su un costone erboso, raggiungendo un'enorme roccia sporgente che forma una tettoia, adatta come riparo in caso di maltempo. Oltrepassata una sorgente (molto rara su questo versante), in breve si raggiunge un colletto con a destra un capanno di caccia, dopo aver perso leggermente quota si riprende a salire ripidamente imboccando lo stretto vallone denominato il "Canal catif" (canale cattivo). Si guadagna quota faticosamente sotto l'affilata guglia della Corna Torella, tra pinnacoli rocciosi e pareti strapiombanti, raggiunto il tratto più esposto, con un minimo d'attenzione, lo si supera con l'ausilio di alcune catene metalliche e gradini intagliati nella roccia. Arrivati al termine del canale si prosegue tra splendide conche prative e tratti boscosi, fino a raggiungere un grosso masso. Tralasciato a destra il sentiero per la baita Camì una costruzione metallica di colore verde, si continua a seguire il segnavia 102 e attraversata una bella faggeta si arriva al Rif. Baita Cancervo (o del Santì) 1697 m, dove alcuni biondi cavalli Avelignesi ci danno il benvenuto. Poco prima d'arrivare alla baita si abbandona il sentiero principale e salendo verso destra si raggiunge una baracca metallica, oltre la quale si prosegue a sinistra seguendo un marcato sentiero. Dopo aver attraversato alcune vallette e dossi, con un ultimo sforzo in pochi minuti si raggiunge la croce del Monte Cancervo 1835 m. Splendido il panorama verso il vicino Monte Venturosa e il più lontano Pizzo dei Tre Signori. Per il ritorno dalla cima si scende seguendo il sentiero sul lato opposto da dove si è saliti, dopo un breve tratto ripido si prosegue a mezza costa fino a raggiungere il Passo Grialeggio 1707 m. Dal passo, come indicato dalla palina segnavia, si segue il sentiero 136 (Foppelle), iniziando a perdere quota con una lunga serie di tornanti all'interno del bosco. Oltrepassata la Baita della Vecchia 1380 m il sentiero prosegue su un'ampia strada sterrata con tratti cementati fino a incrociare la strada asfaltata. Si segue la carrozzabile verso destra per circa mezz'ora fino a incrociare nuovamente il sentiero fatto alla mattina che in breve ci riporta alla bella chiesetta di Pianca.
Malati di Montagna: Elena, Pg, Danilo e l'Homo Selvadego


strane prospettive alla Corna Torella


quasi al termine della faticosa ma divertente salita...


il Cancervo è ancora lontano...


Monte Cancervo 1840 m



siam troppo belli...!!!




giovedì 8 ottobre 2015

Una violazione autorizzata delle regole del buon senso

Sai cos'è il Tor des Géants? E' forse la gara più massacrante di corsa in montagna che esista:
- 330 km tra i sentieri della Val d'Aosta (praticamente è l'alta via n. 1 e n. 2 messe insieme)
- 24,000 m di dislivello positivo
- il tutto fatto in poco più di 3 giorni (80 e passa ore, dormite incluse)
La gara edizione 2015 si è appena conclusa e volevo segnalarti questa interessante riflessione di uno dei concorrenti pubblicata sul sito di Repubblica.it


Tor des Géants: "La mia sfida oltre i limiti in mezzo ai giganti"
Ecco il racconto di chi ha sfidato maltempo, montagne, dislivelli massacranti nella corsa valdostana. Una violazione autorizzata delle regole del buon senso, con una unica certezza, siglata in una liberatoria: "Se ti succede qualcosa, sono affari tuoi"
di ALBERTO CUSTODERO

COURMAYEUR - Fino a quando non lo fai, non ti rendi conto di cosa sia il Tor des Geants. Per capirlo, bisogna ricordare quali sono le 3 regole fondamentale per andare correttamente in alta montagna. Primo, mai scalare un monte se non si è ben equipaggiati. Secondo, mai mettere il naso fuori di casa in condizioni di tempo avverse. Terzo, mai sfidare i propri limiti fisici, perché la stanchezza, in quota, può essere fatale. Ebbene, il Tor è esattamente la violazione autorizzata di queste basilari regole del buon senso. Vai equipaggiato all'osso, con il minimo indispensabile, in condizioni meteo assurde, al di là delle tue possibilità fisiche. Il rapporto tra atleta e organizzazione, poi, è ambiguo e perverso. E' come se la stradale ti dicesse: oggi guidi fregandotene del codice della strada, passi col rosso e vai ai 200 all'ora. Però se ti succede qualcosa, è affar tuo. Il Tor è così: parti alle 10 del mattino da Courmayeur, ti fai 49 chilometri, 4 mila metri di salita e altrettanti di discesa, piove, rischio neve, ghiaccio in quota, vento, meno dieci sotto zero. E se ti succede qualcosa sono cavoli tuoi. Ti fanno firmare una liberatoria che esonera l'organizzazione da ogni responsabilità. Due anni fa, un atleta arrivato dalla Cina, che forse mai aveva visto monti come le Alpi, in una notte di bufera, pioveva ghiaccio e il vento non ti faceva stare in piedi, è scivolato, è finito in un dirupo, ha picchiato la testa, è morto. E sono stati cavoli suoi, aveva firmato anche lui la liberatoria.

A questo punto, la domanda è: ma perché uno spende 700 euro per affrontare questi rischi? Per la risposta, ci vuole la psicologia, e forse non è un caso che sia stato uno psicologo a inventarlo. Io ho voluto provarci perché, come tutti, attratto dal fascino della trasgressione. Trasgredire, in fondo, è una tentazione irresistibile. La trasgressione delle regole della buona montagna, un'attrazione fatale. E poi, mi fidavo della serietà degli organizzatori, tra me e me, pensavo: "se mi fanno partire, significa che esiste un sistema di sicurezza". Mi sono accorto, strada facendo, che, a mio giudizio, non era così.

Piove. La partenza, come tutti gli start, è stata emozionante, quasi tutti seminascosti dai gusci (le giacche a vento leggere), dai poncho antipioggia, dai cappellini. Musica a palla, speaker, applausi, brividi su per la schiena dall'emozione, ali di folla che incita e applaude per tutta Courmayeur. All'uscita del paese, al primo sentiero in salita, un tappo di atleti. Ci si ferma qualche minuto, pian piano la coda scorre e la vera gara comincia, un passo dietro l'altro, le racchette a spingere con le braccia per aiutare la trazione del corpo in su. Se fino ad allora eri un animale vissuto in cattività, da quel momento in poi ti trasformi in una sorta di capra di montagna. Il bello del Tor è che incontri matti come te. E capita di conoscere persone che non ti saresti mai aspettato, come Paolo.... Sua madre era stata una collega di mio padre alla fine degli anni Cinquanta. Durante la salita la mamma telefona, Paolo me la passa e mi dice: "Ciao Alberto, ti ho visto nascere". Con Paolo facciamo squadra, abbiamo un buon passo, 5 chilometri all'ora. Buon tempo. Si scollina la prima vetta, Col Arp, 2571 metri. In discesa incrocio Augusto Rollandin, il governatore della Vallée. "Forza Gusto", gli gridano in dialetto i tifosi. "Ecco l'imperatore", borbottano altri valligiani che mal sopportano la sua longevità politica. Con i suoi 64 anni, si butta in discesa di corsa a una velocità impressionante, io non gli sto dietro, preferisco camminare per non scardinare le giunture delle ginocchia. Panorama scarso, smette di piovere, ma restano le nuvole basse, effetto nebbia. Si percorre una discesa interminabile, al decimo km s'incappa nel primo ristoro. Ma la posizione è infelice, risulta esposto a un vento gelido, fa freddo fermarsi troppo. Il tempo di uno spuntino (biscotti, cioccolato, bibite, tè), e del ricarico borraccia, e via. Si arriva camminando per un sentiero mezzacosta a La Thuile, 1458 metri, dove incontro l'assistent personale, mio figlio Tommaso che mi segue in camper. Sotto questo tendone, il primo ritiro "illustre": Pier Alberto Carrara, olimpionico di fondo biathlon, che aveva deciso di festeggiare i 25 anni di matrimonio correndo il Tor con la consorte, si ferma. Lo incoraggio e lo saluto. Venti minuti per cambiare la maglietta sudata, buttar giù una pastina in brodo, e ripartire. A questo punto uno squarcio tra le nuvole fa affacciare il sole. Ma dura poco, si ricopre subito. E si sale verso il rifugio Deffeyes su per un sentiero appena attrezzato dal comune. Lo spettacolo è mozzafiato. Una cascata imponente, con una portata d'acqua violentissima, scende giù a picco per centinaia di metri. La salita è quasi in verticale, è come se salissi una scala a tre gradini alla volta, un crampo mi sorprende il quadricipite sinistro, ma fingo di non ascoltarlo. I compagni di viaggio sono di tutto il mondo, c'è una brasiliana in Italia per amore: "Mio marito  -  scherza con accento portoghese  -  però non è italiano, è livornese". Un atleta, occhi a mandorla, allunga il passo, e sorpassa: "Vengo dalla Cina", dice. E tira dritto. "Io vivo sul lago Maggiore, le mie tre figlie, quando mi hanno visto partire, sono scoppiate in lacrime, 'Papà torna', mi hanno detto".

All'improvviso, una sorpresa: il sentiero prosegue lungo una passerella sospesa nel vuoto che taglia la cascata nel punto più impetuoso dove si forma una gigantesca nuvola di aerosol di acqua di montagna. Stupendo. Proseguendo, un reperto bellico arrugginito sta lì a ricordare che quelli che calpestiamo noi matti del Tor erano sentieri partigiani. I partigiani erano talmente temuti e forti, da quelle parti, che l'aviazione tedesca era arrivata con gli aerei a bombardare il rifugio Santa Margherita dove si nascondevano i "ribelli". Ora i comuni del fondovalle vogliono costruire su quei pendii un museo della Resistenza. Pensare che i partigiani salivano lassù mal vestiti, in pieno inverno, inseguiti dagli alpin jagger austriaci, mi infonde una insolita energia: "Se ce la facevano loro in tempi di guerra, ce la devo fare anche io che sono qui in vacanza per divertirmi". Arrivo fresco e in forma al rifugio Deffeyes, 2500 metri, mi cambio di nuovo, mi rifocillo con polenta, fontina, brodo caldo. E soliti pezzi di cioccolato. Coca cola, caffè e riparto. Mi aspetta la scalata del Passo Alto, 2857 metri. Nuvole nere avvolgono e nascondono la vetta, non fanno presagire nulla di buono. Le tre regole della montagna mi imporrebbero l'alt. Ma al Tor prevale la trasgressione autorizzata e regolamentata. Quindi, nonostante di lì a poco diventerà buio, riparto. Il ritmo, però, insperatamente, cala. L'altitudine, per chi come me vive a Roma, sul livello del mare, comincia a farsi sentire. Il ritmo, da 5 chilometri all'ora, scende inesorabile a 4, poi a 3, poi a 2. Poi....

Già da tempo ci siamo lasciati alle spalle la vegetazione, si cammina prima su un prato bagnato e fangoso. Poi solo su uno spettacolo lunare. Rocce, sassi, pietre. Il tutto nell'ambiente vaporoso di una nebbia umida e fredda. Lo sforzo si fa sentire, le gambe soffrono, il fiatone aumenta, l'abbigliamento intimo si inzuppa di sudore. Salgo in affanno. Il sentiero si inerpica snodandosi lungo il costone grigio e tormentato della montagna. Arrivato in cima, inizia la discesa. Ma è anche l'inizio della fine. Partito alle dieci del mattino, alle 20 mi ritrovo quasi a tremila metri di quota, a 15 chilometri ancora dalla base vita di Valgrisenche, 1662 metri (48,6 km in totale dalla partenza) che potrei raggiungere a quell'andatura solo alle due di notte. Se mai arrivassi alla base vita, avrei poi solo tre ore di tempo pe riposarmi, e sarei costretto a ripartire alle 5 per affrontare altri 51 chilometri, altri 4 mila metri di salita. E così via per un totale di 330 km, 24 mila metri si salita e altrettanti di discesa. Comincia a diluviare, comincio a scoraggiarmi. Mi fermo, è buio pesto, non c'è traccia di personale dell'organizzazione. Penso, ma se mi succedesse un infortunio proprio adesso, quassù, chi mi aiuterebbe? Manco c'è la linea per telefonare. E qui i soccorsi non ci sono. Prima che arrivino, rischio la pelle per ipotermia. Solo a quel punto, capisco al volo il significato di quella frase, un po' nascosta, contenuta nella liberatoria che mi hanno fatto firmare prima di partire: "Esonero gli organizzatori da ogni responsabilità per infortuni personali e/o morte". Capito: se mi succede qualcosa, sono cavoli miei. Del resto, non mi ha obbligato nessuno a fare il Tor. Tiro giù dalle spalle lo zainetto. Estraggo la lampadina da fissare sulla fronte. E riparto. Malfermo sui piedi che poggiano sui lastroni lucidi e scivolosi come il ghiaccio per la pioggia. Le racchette che si infilano tra una roccia e l'altra e ogni volta è una lotta per disincastrarle. Il filo di luce della frontale che penetra la nebbia e illumina di una luce fioca il tracciato. Scendo. Solo, esausto, piede in fallo, scivolo e casco a terra in avanti. Miracolosamente illeso, mi rialzo, compaiono dall'ombra due atleti fasciati nei loro poncho. Sembravano due fantasmi, in realtà sono due angeli che  capiscono la mia difficoltà. Si posizionano uno davanti e l'altro dietro e così scortato, al buio, proseguo. Come se non bastasse, si alza un vento forte gelido, la temperatura scende a meno 10. Inizio a tremare dal freddo così forte che sembro attaccato alla 220. Mi torna alla mente quell'altra frase contenuta sempre in quella famosa liberatoria: "Sono cosciente che la gara si sviluppa in montagna in condizioni climatiche difficili, notte, freddo, vento, pioggia, neve". Già. Crepo di freddo? Ne ero cosciente. E sono i soliti cavoli miei. La forza della disperazione mi trascina verso il basso per un paio d'ore, quando all'improvviso, uscendo da un bosco, vengo abbagliato dal fascio di luce di un tendone di ristoro. "Salvo", penso tra me e me. Mi avvicino a uno con la pettorina staff, e gli chiedo, timido: "Vorrei ritirarmi, come posso fare?". "Entri in quella stanzetta", mi risponde. Apro la porta, e dentro c'era un atleta disteso su una branda con una coperta di lana beige sulla testa. "Scusi  -  chiedo  -  ma è morto?". "No, sta male", mi spiegano. Un altro, super maratoneta con un palmares di corse endurance da campione, vomita zampillando come una fontana. "Scusate  -  dice  -  il freddo mi ha congelato lo stomaco". E' la stanzetta degli "sfigati", quelli che non ce la fanno, che non hanno il fisico, che si ritirano. Eravamo in tanti, a frotte. Dopo una mezzoretta di tremolante attesa, finalmente si riapre la porta di quel lazzaretto, e uno dello staff ci avvisa: "Fuori tutti, dobbiamo fare un'ora di discesa a piedi, e poi una navetta vi porta a Courmayeur". Ecco, questo è stato il mio Tor des Geants. In fondo, per un po', mi sono sentito un gigante anch'io.

lunedì 5 ottobre 2015

Friuli Venezia Giulia - 2^ parte


Se avete amato il primo video del Friuli Venezia Giulia ripreso dal drone, preparatevi ad emozionarvi di nuovo con la 2^ parte che vi porterà alla scoperta dei luoghi più suggestivi della regione da un punto di vista decisamente insolito!
Allacciate le cinture e buon viaggio!

Alpe Devero e Crampiolo

domenica 4 ottobre 2015

Nel remoto e poco conosciuto vallone di Noaschetta

"Il cammino riporta lo sguardo alla giusta dimensione, insegna a governare il tempo"
Bernard Olliver



Escursione ad anello nel Parco Nazionale del Gran Paradiso in un vallone solitario e poco frequentato, risalendo sentieri che solo la gente di montagna sapeva costruire e mulattiere di caccia del re ancora ben conservate.


Da Milano si segue l'autostrada A4 direzione Torino, per poi proseguire sull'A5 fino all'uscita di Ivrea. Alla rotonda tralasciata la strada a destra per Ivrea, si prosegue verso Cuorgnè/Castellamonte.
Arrivati a Cuorgnè si risale la Valle dell’Orco fino a raggiungere la piazza di Noasca 1058 m, si può lasciare l'auto nel parcheggio gratuito sulla sinistra, raggiungibile attraversando il ponte sul torrente Orco.
Dalla piazza si attraversa la strada e seguendo le indicazioni sul cartello segnavia "Sentiero Ada e Renato Minetti" (548 B), si raggiunge la chiesa dedicata a Santa Maria Assunta. Aggirata la chiesa sulla sinistra, si inizia a salire arrivando dopo pochi minuti al bivio con il sentiero della "Cascata", vale assolutamente la pena fare una breve deviazione per ammirare la cascata, da un punto di vista molto suggestivo. Ripreso il sentiero si inizia a salire ripidamente il versante boschivo con stretti tornanti, giunti a un bivio si tralascia l'indicazione per la palestra di roccia denominata "Torre Jaimonin" e si prosegue verso sinistra dirigendosi verso la bastionata rocciosa. Questo tratto è sicuramente la parte più faticosa dell'interno anello, bisogna risalire una ripida scalinata in pietra, facendo attenzione a non scivolare sulle rocce bagnate, al termine della quale si esce nel vallone di Noaschetta.
Il sentiero ora diventa meno impegnativo e, con una diagonale in un bel bosco di castagni e faggi, si raggiungono le baite in località Case Sengie 1290 m. Lasciato a sinistra il sentiero che scende a Sassa si continua a salire in maniera costante, subito dopo aver lasciato sulla destra la deviazione per Rocci, sul lato opposto del vallone si può osservare l'isolato borgo di Sassa. Arrivati nei pressi di un torrente, risaliamo una gradinata rocciosa attrezzata con una corda metallica fissa che aiuta nel caso il fondo sia ghiacciato. Si prosegue in un bel bosco di betulle, accompagnati dal fragore del torrente Noaschetta che scorre impetuoso in un profonda gola rocciosa, formando suggestive cascatelle. Arrivati in una radura si incontra la baita dell'alpe Scaler 1429 m (fontana), si continua a salire gradatamente, fino a uscire sul Pian Sengio da dove si possono ammirare i pascoli sovrastati sulla sinistra dal Monte Castello. Seguendo i segnavia si guadano alcuni piccoli torrentelli e dopo una breve salita, in piano si raggiunge l'alpe Lavassai. In breve attraversato il torrente e oltrepassata la condotta forzata si arriva al rifugio Noaschetta 1520 m. È sconsigliabile effettuare questo sentiero durante il periodo invernale per la presenza di ghiaccio o dopo piogge abbondanti.
Per il ritorno dal rifugio si segue il sentiero indicato dalla palina segnavia 548, dopo un breve tratto in salita si piega a destra verso l'evidente palina segnavia. Tralasciata momentaneamente la mulattiera a sinistra si prosegue a mezza costa in falsopiano verso la testata del vallone, passando a monte del rifugio, per poi iniziare a scendere leggermente arrivando alle baite dell'alpe Bettasse 1589 m, bella la visuale sulla testata del vallone, possibilità d'incontrare camosci e marmotte. Ritornati sui propri passi si prosegue sulla mulattiera reale a mezza costa in leggera salita e aggirato un panoramico sperone si arriva in breve a un bivio. Lasciato a destra il sentiero per il Gran Piano Casa Reale di Caccia, si inizia a scendere con lunghi tornanti fino a raggiungere Sassa 1353 m, dove si consiglia una breve pausa passeggiando tra i stretti vicoli del paese. Ritornati sulla mulattiera la si percorre fino a incrociare la strada asfalta, da qui in pochi minuti scendendo i ripidi tornanti si fa ritorno a Noasca. 
Malati di Montagna: Giuseppe, Patrizia, Lorenzo, Pg, Danilo e l'Homo Selvadego

le parole a volte non servono...le immagini parlano da sole...


sotto alla suggestiva cascata di Noasca


pronti ad accendere il camino?


Il rifugio Noaschetta (1540 m) della sezione CAI di Rivarolo è dislocato all'inizio del vallone omonimo, dopo il bastione roccioso che sovrasta la frazione Sassa. La struttura è circondata da un bosco di larici ed è lambita dal torrente Noaschetta. Il rifugio è stato ricavato utilizzando una parte della costruzione ad un piano, in muratura, di proprietà dell’A.E.M. 
Il rifugio non è custodito, per il ritiro delle chiavi rivolgersi a: Trattoria Caccia Reale, Via Roma, 14 - 10080 Noasca (TO) - Tel. 349 23 18 586 e 340 25 26 735 (trattoria chiusa al giovedì)


Ada e Renato Minetti
Renato Minetti (1903–1976), nato a Torino in una famiglia originaria di Torre Pellice (e in parte genovese), giunse a Rivarolo per motivi di lavoro legati al Cotonificio Valle Susa. Appassionato sportivo, fu un dirigente dell’Unione Sportiva Rivarolese durante gli anni ‘40 e ‘50 (quando la squadra calcistica cittadina arrivò a militare in serie C). Già socio fondatore della Sottosezione Canavesana del Club Alpino Italiano (alle dipendenze della Sezione di Torino) nel 1943 e Reggente della stessa dal 1949 al 1963, fu un entusiasta fautore della costituzione della nuova Sezione di Rivarolo Canavese (nata nel 1964), che continuò a presiedere. Dopo il suo ritiro nel 1971, il Consiglio Direttivo della Sezione lo elesse Presidente Onorario. 
La moglie Ada Naferville Minetti (1922–2013), trasferitasi giovanissima a Rivarolo dalla nativa Valle di Susa, fu per anni un punto di riferimento per molti giovani studenti nel suo ruolo di segretaria presso l’ITIS Lagrange di Rivarolo.Sostenne sempre l’impegno del marito nell’ambito del
Club Alpino e, anche dopo la sua scomparsa, non fece mai mancare il suo appoggio alla sezione, mantenendosi sempre attenta ed informata su tutti gli eventi. Nel 2008, in occasione dell’inaugurazione dell’ampliamento della sede sociale, partecipò alla cerimonia in qualità di madrina. 
Nella ricorrenza del 50° anniversario di fondazione (1964-2014), la Sezione CAI di Rivarolo ha intitolato ai coniugi Minetti un sentiero ricavato tra le vie di accesso al Rifugio di Noaschetta.