In Italia le specie di serpenti sono 23, ma soltanto quattro di queste appartengono alla famiglia dei Viperini, sono cioè velenose e pericolose per la specie umana. La Vipera aspis o vipera comune, è la più diffusa e provoca il maggior numero di casi di avvelenamenti, predilige luoghi caldi e aridi, frequentemente sotto i sassi, in mezzo ad arbusti e siepi. È presente in tutte le regioni, esclusa la Sardegna (che non possiede serpenti velenosi). La Vipera berus o marasso palustre, diffusa in montagna, è piuttosto aggressiva. La Vipera ammdytes o vipera dal corno, si trova nelle Alpi Orientali. È poco aggressiva, ma il suo veleno è il più pericoloso. La Vipera ursinii, si ritrova nel Gran Sasso, è la meno velenosa ed aggressiva.
CARATTERISTICHE
la vipera è un serpente lungo meno di un metro (generalmente 40- 80 cm), di colore grigiomarrone, talora rossastro o giallastro, con una striscia a zig-zag sul dorso. La testa è triangolare ed è più larga del corpo, pupille degli occhi a fessura verticale; presenta una coda che finisce bruscamente dopo il corpo cilindrico.
Quando una persona è morsa da un rettile è di fondamentale importanza tenere conto delle seguenti variabili:
1. il rettile potrebbe non essere una vipera
2. se il rettile è una vipera ( riconosciuta ), potrebbe non avere inoculato il veleno (cosiddetto “morso secco” ), o avere inoculato una dose ridotta. Questo dato ha portato alla definizione di un protocollo diagnostico – terapeutico pressoché sovrapponibile in tutti i paesi, che partendo dal presupposto che ”morso di vipera” non significa “avvelenamento da morso di vipera”, orienta al trattamento del paziente.
IL MORSO avviene in 3 fasi
1. apertura della bocca con un angolo > 180°
2. estrazione delle zanne
3. Morso
La gravità dell’avvelenamento dipende dalla quantità di veleno iniettato; con un morso viene inoculato il 4-7% della quantità del veleno. Ci possono essere anche 20-30 attacchi successivi, fino a scaricare del tutto le ghiandole velenifere. In media un morso può contenere dai 5-40 mg di principio attivo, minore se la vipera ha da poco morso un altro animale. Le sedi prevalentemente colpite sono: arti inferiori e superiori, ma i siti di aggressione più pericolosi sono il collo o la testa. Il quadro clinico varia in base alla:
- sede del morso
- tempo trascorso dal morso
- temperatura ambientale (il caldo, per la vasodilatazione, facilita il passaggio in circolo del veleno)
- attività svolta dalla vittima dopo il morso ( se la vittima inizia a correre, aumenta il passaggio in circolo del veleno)
- età del rettile (le vipere giovani hanno un veleno meno pericoloso)
Circa il 20% dei morsi di serpente sono morsi “secchi” in cui non vi è alcuna inoculazione di veleno. Il veleno è essenziale per la vita del rettile, quindi la vipera tende a non sprecarlo mordendo l’uomo. Ecco perché a volte si ha evidenza della sede di puntura, ma non c’è comparsa di sintomi sistemici.
COME RICONOSCERE IL MORSO
Il segno caratteristico è la presenza di 2 piccoli fori distanziati di 0,5-1 cm, più profondi degli altri, corrispondenti ai segni lasciati dai denti veleniferi. Talvolta il morso può presentare anche altri segni: oltre ai fori dei denti veleniferi, infatti, può essere presente il segno lasciato dagli altri denti, molto meno profondo ed evidente. Il morso di altri serpenti non velenosi, non presenta i due fori maggiori, ma il segno dell’intera arcata dentaria, a forma di V. Attenzione, potrebbe capitare che la vipera abbia perso un dente velenifero, oppure che il morso non sia andato a segno completamente e a fondo. In tal caso può essere presente un solo foro del dente velenifero.
COMPOSIZIONE DEL VELENO
Il veleno della vipera è costituito da acqua, protidi, nucleotidi, ioni, metalli: sostanze che servono ad immobilizzare, uccidere e digerire la preda. Gli effetti locali e sistemici che ne derivano sono di tipo cardiotossico, nefrotossico e neurotossico; possono concomitare disturbi della coagulazione.
EFFETTI CLINICI LOCALI
Entro pochi minuti dal morso compaiono dolore urente e bruciore severo, seguito da edema duro, ingravescente , eritema, petecchie, ecchimosi e bolle emorragiche che tendono ad estendersi lungo l’arto colpito. Entro 12 ore possono comparire flittene, linfangite, adenopatia.
EFFETTI CLINICI SISTEMICI
Ai segni locali, in relazione alla dose, alla zona interessata e alla taglia del soggetto, si aggiungono sintomi generali con turbe emodinamiche, digestive, coagulative, renali e neurologiche.
Le turbe emodinamiche sono determinate da una fuga massiva di liquidi verso l'interstizio con conseguente comparsa di ipotensione e shock. Le turbe digestive per iperattività della muscolatura liscia consistono in vomito, diarrea, nausea e crampi addominali. Le alterazioni della coagulazione possono includere fibrinolisi , trombocitopenia, emolisi, fino ad una coagulazione intravascolare disseminata. Le turbe renali sono per lo più la conseguenza dell'ipovolemia acuta. Le turbe neurologiche (tardive) comprendono fascicolazioni, convulsioni, paresi, ptosi palpebrale e diplopia.
PREVENZIONE
La prima misura di prevenzione è quella di indossare un abbigliamento adeguato alle passeggiate in luoghi impervi (scarponcini da trekking o da montagna, calze, pantaloni lunghi) che mantengano coperte e protette zone del corpo a rischio di morso. La seconda misura preventiva consiste nel porre la massima attenzione a dove si mettono le mani senza protezione (ad esempio durante la ricerca di funghi, asparagi). Ricordiamo a questo proposito che la vipera non attacca, ma si difende solo se disturbata da vicino e alla presenza dell'uomo reagisce primariamente con la fuga.
COSA FARE
- rimanere tranquilli: l’agitazione provoca l’attivazione incontrollata dei meccanismi da stress che provocano una più rapida diffusione del veleno. Prima che il gonfiore lo impedisca sfilare anelli, bracciali, etc.
- disinfettare: è opportuno lavare la ferita con acqua ossigenata,con permanganato di potassio o con acqua semplice perchè il veleno di vipera è idrosolubile. Sono da evitare disinfezioni con alcool o sostanze alcoliche, perché il veleno della vipera a contatto con alcool forma composti tossici.
Morso arti inferiori (gambe)
Applicare una benda larga almeno 10 cm. e lunga circa 10 metri, tirando ed esercitando una discreta pressione. Tale bendaggio va esteso il più alto possibile e comunque anche al di sotto del punto morsicato. Per effettuare, infine, una buona immobilizzazione dell'arto, va applicata e congruamente fissata, una stecca rigida. Se queste due operazioni sono state correttamente eseguite, la compressione così esercitata non risulterà fastidiosa per l'infortunato e soprattutto potrà essere mantenuta in sede per diverse ore. In ogni caso NON DOVRA' ESSERE RIMOSSA fino a che il paziente non sia giunto al più vicino posto di pronto soccorso ospedaliero.
Morso arti superiori (braccia)
Effettuare un bendaggio compressivo ( benda alta 7 cm e lunga 6 metri), partendo dalla punta della dita della mano, arrivando fino al gomito (purché non impedisca la circolazione arteriosa: il polso deve essere percettibile); se si desidera comunque un margine di sicurezza superiore o se il morso è in prossimità o addirittura al di sopra del gomito, allora è necessario e consigliabile fasciare l'intero braccio fino alla spalla. Si procederà, quindi, come per l'arto inferiore, alla completa immobilizzazione con una stecca, bloccando il braccio al tronco.
Morso al tronco, al collo, alla testa
Anche in questo caso (peraltro fortunatamente molto meno frequente) si cerca di ottenere un ritardo della diffusione del veleno. E' consigliabile applicare un tampone rigido sopra la zona morsicata, tenendolo compresso con un cerotto elastico adesivo.
Trasportare la persona colpita possibilmente senza farla camminare e nel più breve tempo
possibile al più vicino posto di Pronto Soccorso.
COSA NON FARE
• evitare di applicare il laccio emostatico; il laccio rallenta o blocca il deflusso venoso creando una indesiderata stasi venosa, mentre non blocca il flusso linfatico, responsabile della diffusione del veleno • evitare procedure di aspirazione o rimozione meccanica del veleno (suzioni, incisioni); non ne è dimostrata l’ efficacia e si possono causare ulteriori danni • non succhiare il veleno dalla ferita con la bocca ( è infatti molto probabile avere nel cavo orale piccole ferite causate spesso dallo spazzolino da denti) • non somministrare alcolici ( hanno effetto depressivo sul SNC e vasodilatatore periferico, facilitando quindi l’assorbimento del veleno).
TERAPIA NON ANTIDOTICA
- Rimuovere l’eventuale bendaggio compressivo
- Effettuare una profilassi antitetanica e antibiotica.
- Provvedere ad una terapia sintomatica per il dolore e somministrare benzodiazepine nei casi in cui compare ansia.
- I farmaci antistaminici e cortisonici (uso anche preventivo, nei casi di alto indice di probabilità che si tratti di morso di vipera) sono utili nei casi in cui insorgano fenomeni allergici.
- Misurare la circonferenza dell'arto almeno 3 volte. La frequenza delle misurazioni viene eseguita inizialmente ogni 1-2 h, ma aumenta in caso di rapida progressione della sintomatologia locale
- Definire il prima possibile la classe di gravità del morso di vipera per stabilire il trattamento da seguire
Grado 0
Tracce del morso, assenza di segni locali (morso secco), Osservazione per 4 h.
Grado I
Edema localizzato alla zona del morso; assenza di segni generali. Osservazione per 24 h: trattare i sintomi e tenere presente che il 10-15% di pazienti nel Grado I diventano di grado II o dopo pochi minuti o tra le 6 e le 16 h .
Grado II
Estensione dell'edema alla radice dell’arto colpito e comparsa di sintomi sistemici:
ipotensione senza shock, vomito e diarrea. Trattamento antidotico.
Grado III
Avvelenamento severo con sintomi gravi. Trattamento antidotico. Monitorare i parametri laboratoristici (Esami ematochimici: coagulazione, prodotti di degradazione del fibrinogeno, D-dimeri, proteine totali, emocromo, enzimi muscolari come CPK, CK-MB, LDH, mioglobina, bilirubina totale e frazionata, creatinina, azotemia, elettroliti, emogasanalisi, glicemia, esame delle urine), clinici (edema, dolore locale, ecchimosi, strie linfangitiche, linfoadenopatie, tromboflebite, nausea, vomito, dolori addominali, dispnea, angioedema, ipotensione, tachicardia, convulsioni e coma) e strumentali (elettrocardiogramma, eco-doppler dell’arto colpito).
Osservazione clinica per 4 h nei pazienti asintomatici (GRADO O).
Osservazione clinica non inferiore a 24 h con eventuale ricovero, anche quando l’avvelenamento è di modesta entità (GRADO 1- 3).
- Disponibilità del siero antiofidico in ospedale per rassicurare i familiari e poter fronteggiare un eventuale rapido peggioramento dei sintomi.
TERAPIA ANTIDOTICA
La somministrazione del siero è indicata solo se il paziente diventa sintomatico, ed in particolare nei casi in cui compaiono :
- Alterazioni dei parametri emocoagulativi
- Ipotensione grave o shock
- Sintomi gastroenterici importanti e prolungati
- Aritmie cardiache, dispnea
- Edema imponente dell’arto coinvolto
SIERO ANTIOFIDICO
Una volta si portava per precauzione, quando si andava in campagna o in montagna; ma ora, a parte il problema della conservazione, che imponeva il rinnovo ad ogni stagione, il siero antiofidico è diventato irreperibile. Il siero antivipera è un farmaco non prodotto in Italia. Proviene dalla Jugoslavia da cavalli immunizzati col morso di vipera per uso esclusivo ospedaliero, un suo uso al di fuori dell’ambiente ospedaliero, oltre che scarsamente efficace (potrebbe essere somministrato solo per via intramuscolare o sottocutanea), esporrebbe il paziente a rischio di reazioni gravi da anafilassi. E’ quindi importante considerare sempre, prima della somministrazione del siero, il rapporto rischiobeneficio per ogni singolo paziente. Solo il 10-20 % dei pazienti con morso di vipera accertato o sospetto richiede la somministrazione di siero.