Relazione della conferenza di lunedì 5 Giugno 2017 presso la Sede Antares di Legnano
Relatore: Roberto Olgiati, dottore naturalista.
Pulsatilla vernalis (L.) Mill. Monte Cazzola (2330 m; Alpe Devero, VB); sullo il Pizzo Cervandone (3210 m). |
Per “Ecologia” si intende la scienza che studia le relazioni
strutturali e funzionali che si instaurano tra gli organismi viventi e
l’ambiente in cui vivono, che è costituito da esseri viventi, acqua, aria,
suolo, rocce. Tutte queste componenti sono sottoposte all'azione di fattori
biologici, chimici e fisici che interagiscono continuamente nel corso
dell’evoluzione.
Gli organismi viventi, nel corso dell’Evoluzione biologica,
sviluppano particolari adattamenti che permettono loro di aumentare le capacità
di sopravvivere in un dato ambiente. Questi adattamenti derivano da un
complicato processo di mutazione genica e selezione naturale che agisce senza
sosta da oltre quattro miliardi e mezzo di anni fa!
Soldanella alpina L. Laghi di Sangiatto, 2000 m; Alpe Devero, VB. |
Questo infinito processo ha determinato le differenziazioni morfologiche,
fisiologiche e anatomiche degli organismi, agevolandone l’esistenza nelle
particolari condizioni ecologiche in cui si sono evolute. La selezione naturale
favorisce gli individui portatori di caratteristiche che li rendono meglio
adattati alle condizioni ambientali in cui vivono: questo fa sì che i caratteri
positivi da loro posseduti – corrispondenti ai geni favorevoli presenti nel
loro DNA – si trasmettano alle generazioni successive.
Ogni volta che osserviamo un fiore in alta
montagna, stiamo ammirando un piccolo miracolo della natura. Le particolari
condizioni climatiche presenti in altitudine fanno sì che la sopravvivenza
della flora sia particolarmente messa alla prova in condizioni estreme e
selettive.
Quali fattori influiscono sulla resistenza delle piante in
quota?
Androsace vandellii (Turra) Chiov. Lago Devero (VB), 1900 m. |
La temperatura. Probabilmente il fattore più ovvio, ma forse
quello che più di ogni altro influisce sulla presenza o meno di certe piante.
Ogni 100 metri in altezza si perdono circa 0,5-0,6°C con il risultato che oltre
una certa altitudine (intorno ai 3000 metri) si hanno condizioni paragonabili a
quelle dell’artico. A questo si aggiunga la forte escursione termica tra giorno
e notte, assai più marcata rispetto a quanto accade nelle pianure e alle quote
inferiori. In generale l’estate alpina è molto breve diminuendo mediamente di
11-12 giorni ogni 100 metri di maggiore altitudine; varcando la quota di
1700-1800 metri la neve può cadere in effetti in qualsiasi mese dell’anno.
L’umidità assoluta presente in atmosfera
diminuisce salendo di quota al punto che a 3000 metri è pari a circa un terzo
di quella presente al livello del mare. Da rilevare è inoltre la grande
rapidità con cui il grado igrometrico oscilla passando in breve tempo dalla
saturazione alla secchezza, fenomeno che spiega i rapidi cambiamenti
meteorologici in alta montagna.
Il vento è spesso incessante e naturalmente più sostenuto
rispetto alle pianure per via delle continue burrasche che si abbattono sulle cime.
Eritrichium nanum (L.) Schrad. ex Gaudin Passo dei Salati sul sentiero per lo Stolenberg al confine tra Val Sesia (VC) e Valle di Gressoney (AO), 2980 m. |
Le precipitazioni di norma sono più abbondanti salendo
d’altitudine sino ai 2000-2500 metri; oltre questa quota tornano
progressivamente a diminuire.
L’esposizione alle intemperie dipende dalla
disposizione delle valli con versanti e crinali in grado di condizionare il
microclima locale.
L’innevamento, spesso persistente per molti mesi all’anno,
abbrevia la stagione vegetativa. A questo si aggiunge il carico che la neve
esercita sulle piante sottostanti. La neve incide sulle piante al punto che le
fioriture sono regolate esclusivamente dalla sua scomparsa.
La radiazione ultravioletta aumenta proporzionalmente alla
quota a causa della rarefazione dell’aria e la sua intensità può minacciare la
sopravvivenza delle piante.
La siccità. Questo potrà sorprendere
chi associa l’assenza d’acqua ai deserti ma in effetti l’acqua in montagna è
per lunghi periodi accumulata in forma di neve o ghiaccio non essendo così
assimilabile dagli apparati radicali. Anche nella breve estate alpina, la
rarefazione dell’aria e lo scarso quantitativo di umidità disponibile facilita
l’evaporazione rendendo disponibile l’acqua solo per brevi periodi.
I mutamenti del terreno: pareti rocciose che si sgretolano
sotto l’effetto di neve e ghiaccio, detriti che si muovono, frane e slavine.
A causa di questi numerosi fattori le piante
hanno escogitato adattamenti specifici mirati alla difesa dalle condizioni così
estreme che caratterizzano l’alta montagna.Andiamo ora alla scoperta dei
principali metodi di adattamento adottati dalle piante: questo ci permetterà di
apprezzare e mostrare maggiore rispetto a queste forme di vita; rimarremo
affascinati dalla “forza della vita” che, anno dopo anno, concede loro di
fiorire anche dove potrebbe sembrare impossibile, come per esempio sulle pareti
strapiombanti o sulle creste più impervie.
Salix reticulata L. Lago di Sangiatto inferiore (1990 m), Alpe Devero; VB, Italia. |
IL NANISMO
– Salendo ad alta quota le piante
presentano taglia estremamente ridotta. Il vantaggio risiede nella capacità di
resistere meglio al vento e agli agenti atmosferici nonché al peso della neve.
Non sarebbe infatti possibile, per la vegetazione ad alto fusto, resistere alle
tempeste di neve e al vento impetuoso presente in altitudine. Il nanismo rende
inoltre possibile sfruttare, per insediarsi, ogni minimo spazio offerto dalla
roccia o dal terreno.
Silene exscapa All. sulle piste da sci Staffal-Salati (2450 m, Valle di Gressoney; AO, Italia). Sullo sfondo: Lyskamm e Vincentpiramid (Gruppo del Rosa). |
FORMA A CUSCINETTO
– Il vento e il carico esercitato
dalla neve sono spesso affrontati dalle piante con una conformazione a
“cuscinetto” che annulla il danno che sarebbe provocato avendo rami o steli;
questi sarebbero infatti facilmente spezzati. Sono piante che spesso vegetano
nelle fessure delle rupi e presentano un
apparato radicale allungato e ingrossato capace di penetrare profondamente
nelle rocce.
Spesso le specie alpine sviluppano moltissimi fusticini di
minima dimensione ramificati a raggiera creando un compatto “pulvino” che offre
un ulteriore vantaggio: può essere trattenuta l’umidità necessaria per far
fronte alla siccità. Curioso è inoltre il fatto che le vecchie foglie e fiori
restano intrappolati nel cuscinetto per poi essere decomposti in humus; il
cuscinetto è in questo modo “auto-rigenerante”.
Sedum alpestre Vill. Lago Gabiet, Valle di Gressoney (AO); 2350 m. |
ADATTAMENTO ALL’ASSENZA D’ACQUA
1 – le foglie succulente
Mantenere una riserva d’acqua è essenziale in un ambiente
dove essa è spesso accumulata come neve o ghiaccio e quindi non è assimilabile
dalle piante. Nei giorni sereni, la forte insolazione, l’assenza di umidità e
il vento asciuga molto rapidamente le foglie richiedendo speciali adattamenti
per mantenere il giusto livello di liquidi necessario al sostentamento della
pianta. Alcune di esse si sono adattate sviluppando foglie succulente in grado
di immagazzinare acqua. E’ il caso dei Sempervivum e dei Sedum che presentano
il classico aspetto di “pianta grassa”, ma foglie succulente caratterizzano
anche alcuni tipi di Primula e Sassifraga. In molti casi le foglie sono
raccolte in rosette in modo tale che possono farsi ombra a vicenda fornendo
così ulteriore protezione dalla traspirazione.
Leontopodium alpinum Cass. lungo il sentiero per il Passo Zube (2874 m; Valle di Gressoney, AO). |
2 – la lanugine superficiale
Molte piante alpine sono rivestite da una fitta lanugine
superficiale bianco-argentata che ha il doppio effetto di difendere la pianta
dai rigori impedendo nel tempo stesso la traspirazione dei liquidi. Il meccanismo
è concettualmente semplice ma di grande efficacia: la lanugine crea un sottile
strato isolante in grado di attenuare la differenza d’umidità presente tra
l’aria esterna e l’interno della pianta; di conseguenza è rallentata
l’evaporazione dei tessuti interni. Talvolta è invece adottato il metodo
opposto: poiché l’eccessivo riscaldamento favorisce la traspirazione, alcune
piante non hanno lanugine ma presentano foglie spesse e dalla superficie lucida
in grado di riflettere le radiazioni solari più forti e nocive. Questo effetto
“specchio” è peraltro generato anche dall’insieme della lanugine superficiale
essendo costituita da cellule morte e traslucide con effetto rifrangente nei
confronti della luce. Come esempio di piante ricoperte da una fitta peluria
possiamo senz’altro citare le splendide Pulsatilla montana e Pulsatilla
vernalis, nonché le foglie dell’Androsace alpina. Ancora più famosa è la Stella
alpina (Leontopodium alpinum) con i suoi inconfondibili petali dall’aspetto
vellutato.
Linaria alpina (L.) Mill. presso il Lago Gabiet a quota 2400 m in alta Valle di Gressoney (AO). |
PIANTE MIGRATRICI E
STABILIZZATRICI – La presenza di ghiaioni, pietraie e colate
detritiche rende difficile la presenza di piante per via del continuo
rotolamento di pietre o del ruscellamento superficiale delle acque. Le piante
rischiano continuamente di essere sepolte dalle rocce o trasportate via dal
movimento dei detriti. Nonostante ciò alcune specie vegetali definite
“glareofite” sono specializzate nel sopravvivere in questi particolari
ambienti.
Esistono le cosiddette “glareofite migranti” che si
avventurano sui pendii più instabili. L’emissione di getti striscianti in grado
di radicare è una garanzia per la pianta: in caso di seppellimento legato allo
spostamento dei detriti essa può infatti rigenerarsi a breve distanza (i
cosiddetti “occhi dormienti”) dando la sensazione di una migrazione della
stessa.
Un’altra tipologia di piante è data dalle
“glareofite striscianti”, le quali emettono una fitta rete di sottili getti in
grado di “galleggiare” sui detriti senza offrire alcuna resistenza. Spesso
presentano radici sottili e fascicolate in grado di raggiungere la terra
sottostante.
Altre specie dette “stabilizzatrici” o “glareofite fissanti”
presentano un sistema radicale complesso (spesso un robusto rizoma ramificato e
flessuoso) in grado di penetrare molto profondamente nel terreno sino ad
ancorarsi saldamente al substrato con l’effetto di stabilizzare il pendio
vincendo la sollecitazione meccanica determinata dai piccoli ma continui
movimenti del pietrame. La pianta è inoltre in grado di ricercare in profondità
l’acqua e il nutrimento al contrario assente sulla superficie dei ghiaioni.
Ranunculus glacialis L. Monte Rosa presso Capanna Gnifetti, 3625 m. |
Le “glareofite sbarranti” sono in grado
di trattenere i detriti fini grazie a un germoglio formato da un fitto cespo
oppure grazie ad un intricato groviglio di radici rivolte perpendicolarmente
rispetto al pendio. In relazione a quest’ultima tipologia un rappresentante
classico è dato dal Ranuncolo dei ghiacciai (Ranunculus glacialis). Questa
pianta presenta un’ulteriore forma di adattamento: nei suoi tessuti accumula
zuccheri solubili anziché amidi, come avviene normalmente, in una
concentrazione tale da abbassarne il punto di congelamento e permetterne la
sopravvivenza anche a temperature di molti gradi al di sotto dello zero.
Le “glareofite coprenti” sono caratterizzate da un apparato
vegetativo molto sviluppato. La fitta rete di getti e rami riesce a frenare o
catturare i detriti fini avendo un effetto stabilizzante sul pendio.
Aconitum napellus L. Piani di Artavaggio (Valsassina), sentiero per il Monte Sodadura, 2010 m. |
PIANTE DEI PASCOLI –
Apriamo una breve parentesi sulle piante che condividono l’habitat con
gli animali da pascolo; questi ultimi sono un ulteriore fattore di rischio che
esula dagli aspetti climatici. Mentre alcune piante sono coriacee e spinose,
altre più tenere e fragili crescono su rocce o ripidissimi pendii (è il caso di
alcuni tipi d’orchidea) riparandosi dal calpestio e dalla bocca degli animali.
Altre specie presentano radici solide in grado di sopportare la devastazione
degli animali al pascolo riuscendo così a ricrescere. Vi sono piante la cui
difesa è costituita dal loro sapore: le genziane sono amarissime e senz’altro
avrete notato come siano accuratamente evitate da mucche e pecore; il Napello
(Aconitum napellus L.) e la Luparia (Aconitum lycoctonum) sono fortemente
velenosi. Gli adattamenti sono anche in questo caso necessari per garantire la
sopravvivenza.
LA RIPRODUZIONE – Un
serio problema per le piante d’alte montagna riguarda la riproduzione.
L’impollinazione, meccanismo scontato nelle pianure, è invece molto più
difficile in altitudine a causa dei fattori elencati in precedenza. Il vento
stesso essendo discontinuo, spesso troppo intenso, non è affidabile e di
conseguenza gli insetti, i quali pure scarseggiano in questi ambienti, restano
il principale veicolo per la riproduzione.
Papaver alpinum L. subsp. rhaeticum (Leresche) Markgr. Passo di Campagneda (2636 m; ValMalenco SO). |
colorazione dei fiori
– In quota non abbondano gli
insetti impollinatori; le piante d’alta montagna si adattano a questa carenza
generando fiori particolarmente colorati e quindi visibili con maggiore
facilità. La vivace colorazione permette di non sprecare nemmeno un istante nei
pochi giorni favorevoli: la stagione estiva è sulle Alpi assai piovosa; occorre
quindi sfruttare la presenza degli insetti nei pochi momenti di stabilità
atmosferica.
dimensione dei fiori
– Altro esempio di adattamento
all’alta montagna è dato dalla dimensione abnorme di certi fiori rispetto alla
taglia della pianta nel chiaro tentativo di attirare quanti più insetti sia
possibile.
SFRUTTARE LA RADIAZIONE SOLARE – Le
piante d’alta quota hanno imparato a difendersi e al tempo stesso a sfruttare
la radiazione solare. I nocivi raggi ultravioletti sono tanto più penetranti
quanto più si sale d’altitudine a causa della rarefazione dell’aria e della
carenza d’umidità nei giorni tersi. I fiori hanno imparato a difendersi dalle
radiazioni nocive ancora una volta sfruttando colorazioni sgargianti; i
pigmenti colorati hanno infatti potere assorbente nei confronti delle
radiazioni nocive.
Soldanella pusilla Baumg. Laghi Boden (2348 m). Alta Val Formazza (VB, Piemonte; Italia). |
FIORITURA ANTICIPATA – La
maggior parte delle piante alpine non è in grado, a causa del periodo estivo
troppo breve in alta quota, di eseguire l’intero ciclo vitale in un solo anno
(germinazione, crescita, fioritura, maturazione del seme, morte). Questo spiega
perché sulle Alpi non sono frequenti le piante annuali e le poche sono di
piccola taglia. La stragrande maggioranza delle piante sono invece di tipo
“perenne”, ovvero l'apparato radicale rimane vivo per più anni, protetto in
inverno dalla neve. Di norma foglie e fiori sono invece sostituiti ogni anno e
i loro residui secchi spesso partecipano nel proteggere le gemme, al livello
del terreno, che in primavera dovranno prontamente germogliare.
Molte piante si adattano al clima
accelerando il processo di fioritura per sfruttare al massimo la breve estate
alpina; accade infatti che il loro ciclo vegetativo abbia inizio addirittura
d’inverno: paradossalmente la neve diviene, in questi casi, una preziosa
alleata. Il manto nevoso mantiene infatti la temperatura del suolo appena al di
sopra dello zero (la neve è un eccellente isolante), impedendo un eccessivo
raffreddamento dello stesso. Il suolo è inoltre salvaguardato
dall'inaridimento: il terreno è infatti mantenuto umido sia dal lento
stillicidio della neve stessa sia perché il manto nevoso lo difende dai venti
che in montagna hanno un elevato potere di evaporazione. La neve concede
inoltre, a meno che non sia eccezionalmente abbandonante, che la luce filtri
sino al terreno; si tratta di un’illuminazione tenue, diffusa, ma sufficiente a
permettere il proseguimento dell’attività fotosintetica.
Crocus albiflorus Kit. Piani di Artavaggio, 1700 m (Valsassina, LC). |
Si può quindi affermare che
l’attività di certe piante perenni non subisca una sosta invernale, ma solo un
rallentamento di intensità. A riprova di questo esistono numerose specie alpine
che producono gemme in pieno inverno pronte a fiorire non appena ha inizio il
disgelo. Altre piante sono addirittura in grado di fiorire al di sotto della
coltre nevosa o quando essa è in via di fusione. Fra tutte ricordiamo la
Sassifraga rossa (Saxifraga oppositifolia), la piccola Soldanella alpina e il
bellissimo Croco (Crocus vernus): quest’ultimo si difende dai rigori anche
grazie a un organo sotterraneo carnoso (tubero o bulbo).
ALTRI ADATTAMENTI –
Alcuni tipi di pianta ricorrono a metodi alternativi e complementari
all’impollinazione per aumentare le probabilità di riproduzione. Ad esempio,
l’Ambretta strisciante (Geum reptans), pianta tipica delle morene glaciali,
produce fusti striscianti (stoloni) che vanno a produrre nuovi cespi a breve
distanza. Altre piante producono gemme o bulbilli da ognuno dei quali si
sviluppa un nuovo individuo (tra gli esempi classici c’è la Poa alpina e il
Polygonum viviparum). Curioso il caso della Viola gialla (Viola bifora) che
fiorisce in tempi diversi aumentando sensibilmente la probabilità di essere
impollinata.
Occorre inoltre accennare ai semi delle piante alpine che in
genere sono piuttosto piccoli e leggeri in modo da facilitarne la dispersione a
opera del vento. Possiamo citare come esempio i frutticini piumosi della
Pulsatilla alpina.
Silene exscapa All. Alta Val Formazza presso i Laghi Boden (2348 m); sullo sfondo il Pizzo Castel (Kastelhorn, 3128 m). |
Termina così la nostra carrellata tra le piante alpine alla
scoperta dei loro adattamenti per vincere la lotta per la sopravvivenza. Siamo
convinti che se amate veramente la natura sarete rimasti affascinati dalla loro
capacità di resistere alle più svariate minacce.
E’ necessario conoscere per rispettare
maggiormente la Vita in ogni sua forma: la flora alpina ne è soltanto un
piccolo frammento. Lassù fra aridi ghiaioni, sulle strapiombanti pareti
verticali, sotto il sole cocente, a volte sulle morene glaciali o con le radici
perennemente nell'acqua i fiori continueranno, anno dopo anno, nella breve
estate d’altitudine a rallegrare i nostri occhi con il loro colore stupendoci
per la loro straordinaria bellezza!
La galleria completa di immagini si trova sul sito dell'Associazione Antares di Legnano al seguente link: