Il mio zaino non è solo carico di materiali e di viveri: dentro ci sono la mia educazione, i miei affetti, i miei ricordi, il mio carattere, la mia solitudine. In montagna non porto il meglio di me stesso: porto me stesso, nel bene e nel male.
Renato Casarotto
Le montagne sono di tutti, ma non sono per tutti: sono per chi le ama e le rispetta, per chi vuole viverle e conoscerle, per chi non prevarica con il proprio io la loro esistenza e armonia.
Mario Rigoni Stern
mercoledì 24 ottobre 2012
La via dei torchi e dei mulini by Kiran
Vivere la montagna, come una passione che va al di là dell'aspetto sportivo, ricercando quelle emozioni nascoste dentro di noi...
domenica 21 ottobre 2012
Pizzo d’Alben tra Val Marcia e Val Varrone
Immaginare Premana senza i suoi alpeggi e i suoi maggenghi è come pensare al ritratto di una dama rinascimentale priva di gioielli. Gioielli che qui, tra i verdi prati della Val Varrone, sono custoditi gelosamente perché i «looch», questo il loro nome dialettale, sono il frutto del sudore e della fatica di generazioni.
Antonio Bellati
Abbandoniamo la statale 36 in prossimità del ponte sull’Adda a Lecco, per proseguire sulla nuova SS36 che sale verso la Valsassina. Dopo l’ultima galleria, alla rotonda di Ballabio, proseguiamo diritti seguendo la provinciale 62 fino a Taceno, da dove continuiamo a destra seguendo le indicazioni per Premana fino al ponte che precede la salita verso il paese. Qui vi sono due possibilità o svoltare a sinistra prima del ponte oppure dopo il ponte a destra, in entrambi i casi si perviene alla zona industriale di Premana. La macchina la lasciamo nel parcheggio nei pressi di un cartello con una cartina della zona, accanto c’è anche una fresca fontanella 765 m, ci incamminiamo lungo la strada asfalta passando sul lato destro della ditta Premax.
Dopo pochi minuti attraversiamo il torrente Varrone su un vecchio ponte in pietra giungendo ad un bivio, prendiamo a destra seguendo le indicazioni per Alpe Chiarino / Pizzo d'Alben. Lungo tutto il percorso la segnaletica è piuttosto precisa quindi non sarà difficile individuare la giusta direzione ad ogni bivio.
Saliamo a Lavinol 766 m, nucleo di baite ancora adagiato sul fondovalle del Varrone e circondato da un bel bosco. Continuiamo in costante salita, per le baite di Porcile di Sopra 993 m, perfettamente allineate con gli edifici del nucleo di Premana che sta proprio di fronte, sull’altro versante del Varrone. I prati di Porcile sono uno dei «looch» più antichi del territorio premanese (le prime notizie risalgono al 1300). La mulattiera, pur in notevole pendenza, è stata sapientemente costruita per permettere un transito agevole alle mandrie, oltre che il trasporto a valle della legna, del fieno, del fogliame del sottobosco e dei prodotti caseari. Il passaggio è facilitato dai lunghi gradoni, dove i sassi tondeggianti si alternano alle piode inserite a lama di coltello, senza alcun bisogno di cemento. L’accostamento, solo apparentemente casuale, è il risultato di una sapienza antica che alterna scivolamento a frenata, mantenendo costante la velocità del carico. Infine raggiungiamo le baite dello Zucco 1081 m.
Dopo un breve pausa proseguiamo lungo il tracciato a mezzacosta verso le baite d'Alben 1151 m, il «looch» più lontano da Premana. Lasciamo ora la mulattiera che si inoltra nella Val Marcia verso l’alpe Ombrega e prendiamo il sentiero diretto ai pascoli e ai boschi di faggio. I tratti di pendio erboso offrono bei panorami sull’abitato di Premana, sul monte Legnone e sul Pizzo Alto, mentre la salita si mantiene costante fino alle baite dell’alpe Ariale 1151 m, dalla palina segnavia proseguiamo a destra seguendo l'ampio sentiero che si impenna nel bosco di larici giungendo a una cappella. Da qui il tracciato si snoda pianeggiante a mezzacosta, ormai in vista delle baite dell’alpe Chiarino 1558 m.
Dalla palina segnavia a monte dell'alpeggio imbocchiamo il sentiero che attraverso un fiabesco bosco di larici sale ripidamente fino alla cima del Pizzo d'Alben 1867 m, da qui possiamo godere di straordinari scorci sui laghi di Como e di Lugano, il Legnone, il Pizzo Alto, il monte Rotondo, il Pizzo Mellasc, il Pizzo Varrone, il Pizzo dei Tre Signori, Paglio, il Cimone di Margno e le due Grigne.
Per il ritorno percorriamo il medesimo itinerario concedendoci solo una breve deviazione percorrendo il sentiero che dalla cappella dell'alpe Chiarino scende sulla destra e ci riporta all'alpe Ariale.
Malati di montagna: Piergiorgio, Franco e Fabio
il sole deve ancora sorgere a Premana
camminiamo su vecchie mulattiere...
...tra splendidi scorci panoramici
una cima snobbata a volte regala panorami favolosi
Franco, Piergiorgio e Fabio
ritorniamo baciati da un bellissimo sole...
by Franco
Vivere la montagna, come una passione che va al di là dell'aspetto sportivo, ricercando quelle emozioni nascoste dentro di noi...
sabato 13 ottobre 2012
Un incontro inaspettato alla Tete du Mont
Una sfida, una missione disperata, una fatica erculea: cosi sembra, a prima vista, l'idea di colonizzare questo lungo pendio sassoso, tracciarvi un sentiero, costruire case fienili, farvi arrivare l'acqua. Sfida vinta, missione compiuta già almeno da qualche secolo. Con l'aiuto della teleferica, Barmelle rivive tutti gli anni nel periodo estivo, segnando come un faro la sua presenza a chi guarda da lontano l'immenso e ripido versante sassoso.
Dall'autostrada A5 direzione M.te Bianco usciamo a Pont St. Martin, alla rotonda svoltiamo a sinistra sulla SS26 verso Aosta, oltrepassato il Forte di Bard, sede del Museo della Montagna, alla seconda rotonda svoltiamo a sinistra e proseguiamo in direzione di Champorcher, sino alla frazione Dublanc di Salleret, dove lasciamo la macchina nella piazzola sulla sinistra 1107 m.
Ultimati i preparativi percorriamo qualche metro verso valle fino alla palina segnavia, attraversata la strada imbocchiamo la stradina verso il residence in disuso Villa Franchini, in breve ci ritroviamo sulla mulattiera. Attraversiamo alcuni terrazzamenti con ciliegi e frassini e dopo un paio di svolte, proseguiamo in direzione nord-est alternando passaggi gradinati su roccia a tratti in cengia.
Una volta risalita una gola e guadato un torrente in secca, giungiamo al tratto più spettacolare dell'ardita mulattiera: sorretta da muretti, s'inerpica con una serie di secche svolte ravvicinate, piega a destra davanti alla nicchia in parete in cui i valligiani tenevano una lampada ad olio, per poi entrare nel bosco.
Usciti dal bosco proseguiamo tra i terrazzamenti di Barmelle e oltrepassata una fontana ricavata da un grande masso, in breve raggiungiamo le case del villaggio abbandonato 1563 m.
Ci fermiamo qualche minuto alla cappella ristrutturata, datata 1863, da dove possiamo godere della grandiosa veduta panoramica sulla vallata sottostante, da Pontboset alla Fenetre de Champorcher e sul versante opposto sui terrazzi orografici con il villaggio di Borney e la radura dell'alpe Trone. Il nome Barrnelle deriva da barme, cioè riparo sotto la roccia. Negli esigui terrazzamenti è sintetizzata la povera economia di questo villaggio rurale, dove l'unico sostentamento erano i campi a segale e patate e l'allevamento di qualche capra. Progressivamente spopolatosi, durante il secondo conflitto mondiale fu oggetto di una infruttuosa perlustrazione nazista.
A monte della cappella seguiamo una freccia gialla salendo al grande frassino con l'indicazione "Tête du Mont", il sentiero riprende poco marcato tra i prati inselvatichiti e rimonta l'erto costone nel bosco di larici, con una lunga serie di tornanti. Tralasciamo il sentiero a sinistra fortemente esposto per Grand Rosier e continuando in salita arriviamo sulla dorsale spartiacque tra le valli Champorcher e Issogne. Continuiamo verso sinistra tenendoci sul versante settentrionale della cresta tra larici e rododendri, giunti ad un bivio proseguiamo sul 14B e in pochi minuti raggiungiamo in leggera salita la cima della Tête du Mont 1897 m sovrastata da una grande croce metallica, splendido punto panoramico a 360°. Dopo pochi istanti veniamo raggiunti da Fabio, Patrizia e Giuseppe, che non vedevamo da circa un'anno, un incontro che non mi aspettavo proprio, ma che mi riempe il cuore di gioia...
Dopo la tradizionale foto di gruppo, iniziamo la discesa riprendendo il sentiero per poi seguire a sinistra la deviazione che ci porta in breve sul 14A. Con ripidi tornanti scendiamo sull'opposto versante da dove siamo saliti, alcuni passaggi rocciosi sono stati resi sicuri da alcuni gradini in ferro. Arrivati al Col Plan Fenètre, prima di intraprendere la discesa a sinistra, decidiamo di proseguire diritti arrivando alla vicina cappella di Sant'Anna posta in una radura a 1706 m, dove ci fermiamo per la pausa pranzo.
Per la via del ritorno ritornati al colle scendiamo a destra seguendo l'ampia mulattiera (segnavia 14), toccato un costone proseguiamo all'interno dell'avvallamento nella foresta di larice, abete rosso e pino silvestre, per poi giungere alla palina segnavia posta all'ingresso del pittoresco villaggio di Grand Rosier 1460 m. Ci addentriamo tra le case fino alla cappella dedicata ai Santi Fabiano e Sebastiano, già esistente nel 1709, all'esterno si trova una bella acquasantiera in pietra olIare.
Ritornati nei pressi della palina segnavia continuiamo al margine delle case in leggera discesa verso sinistra, stranamente non vi è nessuna indicazione sulla palina segnavia, ma alcune frecce gialle sbiadite e il segnavia 14D ne indicano comunque la giusta direzione. Ci portiamo al di sotto del paese in direzione del ripetitore, pochi metri prima di raggiungerlo pieghiamo a sinistra e facendo attenzione ai segni di vernice ci portiamo sotto il dosso. Scendiamo ora ripidamente nel bosco tra larici e felci, pervenendo sul bordo di un salto roccioso, il sentiero ora obliqua a sinistra protetto da staccionate e in diagonale raggiunge la strada asfaltata. Proseguendo ora verso valle dopo circa 300 m raggiungiamo la piazzola dove abbiamo lasciato l'auto.
Malati di Montagna: Fabio, Patrizia, Giuseppe, Piergiorgio, Simeone, Danilo e Fabio
Ultimati i preparativi percorriamo qualche metro verso valle fino alla palina segnavia, attraversata la strada imbocchiamo la stradina verso il residence in disuso Villa Franchini, in breve ci ritroviamo sulla mulattiera. Attraversiamo alcuni terrazzamenti con ciliegi e frassini e dopo un paio di svolte, proseguiamo in direzione nord-est alternando passaggi gradinati su roccia a tratti in cengia.
Una volta risalita una gola e guadato un torrente in secca, giungiamo al tratto più spettacolare dell'ardita mulattiera: sorretta da muretti, s'inerpica con una serie di secche svolte ravvicinate, piega a destra davanti alla nicchia in parete in cui i valligiani tenevano una lampada ad olio, per poi entrare nel bosco.
Usciti dal bosco proseguiamo tra i terrazzamenti di Barmelle e oltrepassata una fontana ricavata da un grande masso, in breve raggiungiamo le case del villaggio abbandonato 1563 m.
Ci fermiamo qualche minuto alla cappella ristrutturata, datata 1863, da dove possiamo godere della grandiosa veduta panoramica sulla vallata sottostante, da Pontboset alla Fenetre de Champorcher e sul versante opposto sui terrazzi orografici con il villaggio di Borney e la radura dell'alpe Trone. Il nome Barrnelle deriva da barme, cioè riparo sotto la roccia. Negli esigui terrazzamenti è sintetizzata la povera economia di questo villaggio rurale, dove l'unico sostentamento erano i campi a segale e patate e l'allevamento di qualche capra. Progressivamente spopolatosi, durante il secondo conflitto mondiale fu oggetto di una infruttuosa perlustrazione nazista.
A monte della cappella seguiamo una freccia gialla salendo al grande frassino con l'indicazione "Tête du Mont", il sentiero riprende poco marcato tra i prati inselvatichiti e rimonta l'erto costone nel bosco di larici, con una lunga serie di tornanti. Tralasciamo il sentiero a sinistra fortemente esposto per Grand Rosier e continuando in salita arriviamo sulla dorsale spartiacque tra le valli Champorcher e Issogne. Continuiamo verso sinistra tenendoci sul versante settentrionale della cresta tra larici e rododendri, giunti ad un bivio proseguiamo sul 14B e in pochi minuti raggiungiamo in leggera salita la cima della Tête du Mont 1897 m sovrastata da una grande croce metallica, splendido punto panoramico a 360°. Dopo pochi istanti veniamo raggiunti da Fabio, Patrizia e Giuseppe, che non vedevamo da circa un'anno, un incontro che non mi aspettavo proprio, ma che mi riempe il cuore di gioia...
Dopo la tradizionale foto di gruppo, iniziamo la discesa riprendendo il sentiero per poi seguire a sinistra la deviazione che ci porta in breve sul 14A. Con ripidi tornanti scendiamo sull'opposto versante da dove siamo saliti, alcuni passaggi rocciosi sono stati resi sicuri da alcuni gradini in ferro. Arrivati al Col Plan Fenètre, prima di intraprendere la discesa a sinistra, decidiamo di proseguire diritti arrivando alla vicina cappella di Sant'Anna posta in una radura a 1706 m, dove ci fermiamo per la pausa pranzo.
Per la via del ritorno ritornati al colle scendiamo a destra seguendo l'ampia mulattiera (segnavia 14), toccato un costone proseguiamo all'interno dell'avvallamento nella foresta di larice, abete rosso e pino silvestre, per poi giungere alla palina segnavia posta all'ingresso del pittoresco villaggio di Grand Rosier 1460 m. Ci addentriamo tra le case fino alla cappella dedicata ai Santi Fabiano e Sebastiano, già esistente nel 1709, all'esterno si trova una bella acquasantiera in pietra olIare.
Ritornati nei pressi della palina segnavia continuiamo al margine delle case in leggera discesa verso sinistra, stranamente non vi è nessuna indicazione sulla palina segnavia, ma alcune frecce gialle sbiadite e il segnavia 14D ne indicano comunque la giusta direzione. Ci portiamo al di sotto del paese in direzione del ripetitore, pochi metri prima di raggiungerlo pieghiamo a sinistra e facendo attenzione ai segni di vernice ci portiamo sotto il dosso. Scendiamo ora ripidamente nel bosco tra larici e felci, pervenendo sul bordo di un salto roccioso, il sentiero ora obliqua a sinistra protetto da staccionate e in diagonale raggiunge la strada asfaltata. Proseguendo ora verso valle dopo circa 300 m raggiungiamo la piazzola dove abbiamo lasciato l'auto.
Malati di Montagna: Fabio, Patrizia, Giuseppe, Piergiorgio, Simeone, Danilo e Fabio
mulattiera per Barmelle
Barmelle 1563 m
Piccolo borgo rurale ora disabitato, abbarbicato alle pendici della Tete du Mont, a picco sulla Valle di Champorchel: La mulattiera d'accesso, a tratti verticale, è sostenuta da muretti; incollata alla parete rocciosa raggiunge, probabilmente, uno dei luoghi abitati più arditi dell'intera regione.
Piccolo borgo rurale ora disabitato, abbarbicato alle pendici della Tete du Mont, a picco sulla Valle di Champorchel: La mulattiera d'accesso, a tratti verticale, è sostenuta da muretti; incollata alla parete rocciosa raggiunge, probabilmente, uno dei luoghi abitati più arditi dell'intera regione.
by Simeone
La Macrolepiota procera, volgarmente conosciuta come Mazza di tamburo, Puppola, Bubbola maggiore, Ombrellone o Parasole è uno dei più vistosi, conosciuti ed apprezzati funghi commestibili.
by Simeone
tutti in cima appassionatamente...
Vivere la montagna, come una passione che va al di là dell'aspetto sportivo, ricercando quelle emozioni nascoste dentro di noi...
mercoledì 10 ottobre 2012
U2 - Pride (In the Name of Love)
Un uomo viene nel nome dell'amore
Un uomo viene e va
Un uomo viene per giustificare
Un uomo per cambiare le cose
Nel nome dell' amore
Cos'altro
Nel nome dell'amore
Nel nome dell'amore
Cos' altro
Nel nome dell'amore
Un uomo preso nel reticolato
Un uomo resiste
Un uomo sospinto su una spiaggia deserta
Un uomo tradito da un bacio
Nel nome dell'amore
Cos'altro
Nel nome dell'amore
Nel nome dell' amore
Un altro
Nel nome dell'amore
4 aprile mattino presto
Lo sparo un eco nel cielo di Memphis
Libero infine, ti han tolto la vita
Non sapevano come toglierti l'orgoglio
Nel nome dell'amore
Un altro
Nel nome dell' amore
Dedicata a Martin Luther King, un leader pacifista per i diritti civili, che fu ucciso a Memphis il 4 aprile del 1968. A soli 35 anni nel 1964 ricevette il Premio Nobel per la pace, per la guida della resistenza non-violenta alla fine del pregiudizio razziale negli Stati Uniti.
Ho un sogno: che un giorno questa nazione si sollevi e viva pienamente il vero significato del suo credo: “Riteniamo queste verità di per se stesse evidenti: che tutti gli uomini sono stati creati uguali”
Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l’arte di vivere come fratelli.
Martin Luther King
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lunedì 8 ottobre 2012
sulla strada del ferro al rifugio Casera Vecchia di Varrone
L'escursione descritta segue integralmente la parte superiore dell’antica “strada del ferro” o di Maria Teresa perché il suo miglioramento è legato all’illuminato intervento dell’imperatrice d’Austria che nel XVIII secolo decise di dare nuovo impulso all’attività estrattiva del ferro che si conduceva da secoli in Valsassina e Val Varrone.
Abbandoniamo la statale 36 in prossimità del ponte sull’Adda a Lecco, per proseguire sulla nuova SS36 che sale verso la Valsassina. Dopo l’ultima galleria, alla rotonda di Ballabio, proseguiamo diritti seguendo la provinciale 62 fino a Taceno, da dove continuiamo a destra seguendo le indicazioni per Premana fino al ponte che precede la salita verso il paese. Qui vi sono due possibilità o svoltare a sinistra prima del ponte oppure dopo il ponte a destra, in entrambi i casi si perviene alla zona industriale di Premana. La macchina la lasciamo nel parcheggio nei pressi di un cartello con una cartina della zona, accanto c’è anche una fresca fontanella 765 m, ci incamminiamo lungo la strada asfalta passando sul lato destro della ditta Premax.
Dopo pochi minuti attraversiamo il torrente Varrone su un vecchio ponte in pietra giungendo ad un bivio, tralasciate le indicazioni per la val Marcia proseguiamo a sinistra lungo la carrareccia che risale fedelmente la valle, costeggiando sulla destra il torrente. Purtroppo il primo tratto dell’antico percorso è scomparso, e al suo posto vi sono tratti sterrati alteranti da altri col fondo in cemento,
In leggera salita passiamo accanto ad alcune baite e dopo un tratto in falsopiano arriviamo all’agriturismo Giabi, con una delle innumerevoli fontane che si incontrano durante il tragitto. Attraversato un’altro ponte in pietra iniziamo a salire in un bosco di castagni e faggi, dopo alcuni tornanti arriviamo a Gabbio 875 m, dalla palina segnavia ci addentriamo tra le baite tralasciando la mulattiera a sinistra per Premana dalla quale faremo ritorno. Oltrepassiamo il lavatoio e al termine delle abitazioni riprendiamo la strada, dopo alcuni saliscendi giungiamo a una cappella dedicata a Sant’Antonio. Dopo pochi minuti oltrepassiamo su un ponticello il torrente che scende dalla Val Fraina, e con alcuni tornanti giungiamo alla chiesetta del "Pignadur" posta su un dosso. Proseguendo quasi in piano dopo un bel crocifisso in legno arriviamo alla cappella dedicata a S. Uberto, patrono dei cacciatori. Penetriamo sempre di più nella valle fino ad incontrare i borghi dell'alpe Forni di Sopra 1105 m e a poca distanza sul lato opposto della valle l’Alpe Casarsa 1183 m, proseguendo in breve giungiamo a Vegessa e oltrepassate le ultime case troviamo un cartello che parla della “strada del ferro”.
In leggera salita entriamo in un bosco di larici e continuando in falsopiano arriviamo ad un bivio, tralasciando le indicazioni a destra per Artino, continuiamo per l'alpe Varrone, seguendo sempre l’antica via lastricata.
Con arditi tornanti guadagniamo quota fiancheggiando il torrente che scorre più impetuoso, creando cascatelle e ricami d’acqua. Ci portiamo sul lato opposto della valle attraversando il Ponte del Dente, subito dopo tralasciamo il sentiero a sinistra (punto panoramico sulla cascata) che useremo al ritorno e proseguiamo sempre sulla strada lastricata che ripidamente ci fa guadagnare quota.
All'altezza di un tornante ci fermiamo per qualche minuto, ammirando il panorama che si può godere da un vero balcone naturale, oltre a un pannello informativo vi sono anche alcune panche e tavoli in legno. Riprendiamo il cammino e con un’ulteriore serie di tornanti raggiungiamo i pascoli dell’alpe Varrone, dove dinanzi a noi si apre, come per incanto, un meraviglioso scenario, ampio e delimitato alla testata della valle dal Pizzo Varrone.
Poco prima di attraversare un ponticello su una palina segnavia troviamo indicato a destra il sentiero per le miniere di ferro, continuiamo in leggera salita per alcuni minuti, per poi deviare a sinistra verso il rifugio Casera Vecchia di Varrone 1675 m. Decidiamo di fermarci a pranzo ma essendo presto e vista la splendida giornata decidiamo di andare a vedere le miniere e così ritornati alla palina segnavia proseguiamo sull'ampia mulattiera. Guadagniamo quota velocemente e tralasciando le deviazioni a destra per il rifugio Santa Rita arriviamo a una palina segnavia con l'indicazione per la miniera che raggiungiamo dopo un breve tratto di discesa.
Questa miniera, era già esistente ai tempi dell’impero Austro-Ungarico (1750) e fu abbandonata come le altre attorno al 1820. Durante il periodo di “autarchia” (1930-1940), quando cioè l’Italia venne isolata dal resto delle Nazioni, furono ripresi i lavori di ricerca e in parte di coltivazione del minerale ferroso in quest’area. Questa miniera fu restaurata ed ampliata dall’Accieieria e Ferriera del Caleotto, un’industria siderurgica lecchese che ha cessato la sua attività solo alla fine degli anni ‘80.
La fame inizia a farsi sentire e così di corsa ci rechiamo nuovamente al rifugio dove ci aspetta un bel piatto di pizzoccheri. Per il ritorno ripercorriamo il medesimo percorso fatto all'andata fino a Gabbio da dove seguiamo l'ardita mulattiera per Premana. Incastonato nella sua montagna, quasi aggrappato per non cadere a Valle, compare questo originale agglomerato di case, tutte costruite l'una a ridosso dell'altra, questa è l'impressione che abbiamo avuto camminando lungo la strada asfalta verso valle. Dopo alcuni minuti deviamo a sinistra seguendo un cartello per alpe Chiarino - Piz d'Alben, collocato sul lato di una casa. Dopo pochi metri deviamo a destra scendendo lungo una scala per poi proseguire su un sentiero che all'inizio passa accanto ad alcune vecchie abitazioni per poi deviare a sinistra. Entrati nel bosco iniziamo la ripida discesa fino alle baite a ridosso della zona industriale dove abbiamo lasciato l'auto.
Malati di Montagna: Danilo e Fabio
Abbandoniamo la statale 36 in prossimità del ponte sull’Adda a Lecco, per proseguire sulla nuova SS36 che sale verso la Valsassina. Dopo l’ultima galleria, alla rotonda di Ballabio, proseguiamo diritti seguendo la provinciale 62 fino a Taceno, da dove continuiamo a destra seguendo le indicazioni per Premana fino al ponte che precede la salita verso il paese. Qui vi sono due possibilità o svoltare a sinistra prima del ponte oppure dopo il ponte a destra, in entrambi i casi si perviene alla zona industriale di Premana. La macchina la lasciamo nel parcheggio nei pressi di un cartello con una cartina della zona, accanto c’è anche una fresca fontanella 765 m, ci incamminiamo lungo la strada asfalta passando sul lato destro della ditta Premax.
Dopo pochi minuti attraversiamo il torrente Varrone su un vecchio ponte in pietra giungendo ad un bivio, tralasciate le indicazioni per la val Marcia proseguiamo a sinistra lungo la carrareccia che risale fedelmente la valle, costeggiando sulla destra il torrente. Purtroppo il primo tratto dell’antico percorso è scomparso, e al suo posto vi sono tratti sterrati alteranti da altri col fondo in cemento,
In leggera salita passiamo accanto ad alcune baite e dopo un tratto in falsopiano arriviamo all’agriturismo Giabi, con una delle innumerevoli fontane che si incontrano durante il tragitto. Attraversato un’altro ponte in pietra iniziamo a salire in un bosco di castagni e faggi, dopo alcuni tornanti arriviamo a Gabbio 875 m, dalla palina segnavia ci addentriamo tra le baite tralasciando la mulattiera a sinistra per Premana dalla quale faremo ritorno. Oltrepassiamo il lavatoio e al termine delle abitazioni riprendiamo la strada, dopo alcuni saliscendi giungiamo a una cappella dedicata a Sant’Antonio. Dopo pochi minuti oltrepassiamo su un ponticello il torrente che scende dalla Val Fraina, e con alcuni tornanti giungiamo alla chiesetta del "Pignadur" posta su un dosso. Proseguendo quasi in piano dopo un bel crocifisso in legno arriviamo alla cappella dedicata a S. Uberto, patrono dei cacciatori. Penetriamo sempre di più nella valle fino ad incontrare i borghi dell'alpe Forni di Sopra 1105 m e a poca distanza sul lato opposto della valle l’Alpe Casarsa 1183 m, proseguendo in breve giungiamo a Vegessa e oltrepassate le ultime case troviamo un cartello che parla della “strada del ferro”.
In leggera salita entriamo in un bosco di larici e continuando in falsopiano arriviamo ad un bivio, tralasciando le indicazioni a destra per Artino, continuiamo per l'alpe Varrone, seguendo sempre l’antica via lastricata.
Con arditi tornanti guadagniamo quota fiancheggiando il torrente che scorre più impetuoso, creando cascatelle e ricami d’acqua. Ci portiamo sul lato opposto della valle attraversando il Ponte del Dente, subito dopo tralasciamo il sentiero a sinistra (punto panoramico sulla cascata) che useremo al ritorno e proseguiamo sempre sulla strada lastricata che ripidamente ci fa guadagnare quota.
All'altezza di un tornante ci fermiamo per qualche minuto, ammirando il panorama che si può godere da un vero balcone naturale, oltre a un pannello informativo vi sono anche alcune panche e tavoli in legno. Riprendiamo il cammino e con un’ulteriore serie di tornanti raggiungiamo i pascoli dell’alpe Varrone, dove dinanzi a noi si apre, come per incanto, un meraviglioso scenario, ampio e delimitato alla testata della valle dal Pizzo Varrone.
Poco prima di attraversare un ponticello su una palina segnavia troviamo indicato a destra il sentiero per le miniere di ferro, continuiamo in leggera salita per alcuni minuti, per poi deviare a sinistra verso il rifugio Casera Vecchia di Varrone 1675 m. Decidiamo di fermarci a pranzo ma essendo presto e vista la splendida giornata decidiamo di andare a vedere le miniere e così ritornati alla palina segnavia proseguiamo sull'ampia mulattiera. Guadagniamo quota velocemente e tralasciando le deviazioni a destra per il rifugio Santa Rita arriviamo a una palina segnavia con l'indicazione per la miniera che raggiungiamo dopo un breve tratto di discesa.
Questa miniera, era già esistente ai tempi dell’impero Austro-Ungarico (1750) e fu abbandonata come le altre attorno al 1820. Durante il periodo di “autarchia” (1930-1940), quando cioè l’Italia venne isolata dal resto delle Nazioni, furono ripresi i lavori di ricerca e in parte di coltivazione del minerale ferroso in quest’area. Questa miniera fu restaurata ed ampliata dall’Accieieria e Ferriera del Caleotto, un’industria siderurgica lecchese che ha cessato la sua attività solo alla fine degli anni ‘80.
La fame inizia a farsi sentire e così di corsa ci rechiamo nuovamente al rifugio dove ci aspetta un bel piatto di pizzoccheri. Per il ritorno ripercorriamo il medesimo percorso fatto all'andata fino a Gabbio da dove seguiamo l'ardita mulattiera per Premana. Incastonato nella sua montagna, quasi aggrappato per non cadere a Valle, compare questo originale agglomerato di case, tutte costruite l'una a ridosso dell'altra, questa è l'impressione che abbiamo avuto camminando lungo la strada asfalta verso valle. Dopo alcuni minuti deviamo a sinistra seguendo un cartello per alpe Chiarino - Piz d'Alben, collocato sul lato di una casa. Dopo pochi metri deviamo a destra scendendo lungo una scala per poi proseguire su un sentiero che all'inizio passa accanto ad alcune vecchie abitazioni per poi deviare a sinistra. Entrati nel bosco iniziamo la ripida discesa fino alle baite a ridosso della zona industriale dove abbiamo lasciato l'auto.
Malati di Montagna: Danilo e Fabio
Alpe Casarsa
panorama...
rifugio Casera Vecchia di Varrone
luogo idilliaco...
inizio della mulattiera per Premana
Miniera Caleotto
Vivere la montagna, come una passione che va al di là dell'aspetto sportivo, ricercando quelle emozioni nascoste dentro di noi...
martedì 2 ottobre 2012
Mahatma Gandhi
Vivere la montagna, come una passione che va al di là dell'aspetto sportivo, ricercando quelle emozioni nascoste dentro di noi...
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