Il mio zaino non è solo carico di materiali e di viveri: dentro ci sono la mia educazione, i miei affetti, i miei ricordi, il mio carattere, la mia solitudine. In montagna non porto il meglio di me stesso: porto me stesso, nel bene e nel male.
Renato Casarotto

Le montagne sono di tutti, ma non sono per tutti: sono per chi le ama e le rispetta, per chi vuole viverle e conoscerle, per chi non prevarica con il proprio io la loro esistenza e armonia.
Mario Rigoni Stern

venerdì 28 settembre 2012

Maxwell Maltz


mercoledì 26 settembre 2012

The Who - Behind Blue Eyes (Dietro Gli Occhi Azzurri)



Nessuno sa come ci si sente
Ad essere l'uomo cattivo
Ad essere l'uomo triste
Dietro gli occhi azzurri.

Nessuno sa come ci si sente
ad essere odiato
Ad essere accusato
di dire solo bugie.

Ma i miei sogni
non sono così vuoti
Come sembra essere la mia coscienza.

Ho ore, in totale solitudine
Il mio amore è una vendetta
Che non è mai libera.

Nessuno sa come ci si sente
A provare questi sentimenti
Come faccio io,
e me la prendo con te

Nessuno si trattiene così tanto
dalla sua rabbia.
Nessun mio dolore nè disgrazia
Può trasparire.

Ma i miei sogni non sono così vuoti
Come sembra essere la mia coscienza.

Ho ore, in totale solitudine
Il mio amore è una vendetta
che non è mai libera.

Quando i miei pugni si stringono, riaprili
prima che li usi e perda la calma
quando sorrido, raccontami qualche brutta notizia
prima che inizi a ridere e comportarmi come un pazzo

Se ingoio qualcosa di dannoso
cacciami le dita in gola
se tremo, ti prego dammi una coperta
tienimi caldo, lascia che indossi il tuo cappotto

Nessuno sa come ci si sente
ad essere l'uomo cattivo
ad essere l'uomo triste
dietro gli occhi azzurri

domenica 23 settembre 2012

Monte Muggio tra l'Alta Valsassina e la Valvarrone

Una volta arrivati a Lecco, seguiamo la Strada Statale 36 fino all’uscita di Bellano, per poi proseguire sulla Strada Provinciale 62 che risale il lato destro della Val Muggiasca. Arrivati a Taceno in Valsassina, prendiamo la SP67, passati i paesi di Margno, Codesino, Indovero e Narro, raggiungiamo il punto di partenza dell’escursione: Mornico 975 m, frazione di Vendrogno.
Lasciata la macchina nell'ampio piazzale ci incamminiamo all'interno del paese seguendo il segnavia 6 e le indicazioni per Tedoldo, notiamo fin da subito che accanto alla porta di ogni edificio ci sono delle lastre in pietra che recano in dialetto nome o soprannome del proprietario. Poco prima che il vicolo inizi a scendere svoltiamo a destra e in breve usciamo fuori dal paese, il percorso è sempre ben segnalato ed è difficile poter sbagliare. Raggiunta una cappella con un bassorilievo della Madonna, proseguiamo e in pochi minuti ci ritroviamo immersi in un bellissimo e fiabesco bosco di betulle. Usciti dal bosco arriviamo all’idilliaco maggengo di Tedoldo 1239 m.
Seguendo le indicazioni sulla palina segnavia saliamo alla cappella posta a monte delle case, la vista da qui deve essere magnifica, purtroppo oggi il meteo non è a nostro favore. Proseguiamo arrivando in un piccola radura teniamo la destra e in breve ci abbassiamo di qualche metro arrivando a una vasca recintata utilizzata dagli elicotteri in caso di incendi, vicino c'è anche una fontana e alcuni tavoli e panche ricavati dai tronchi degli alberi. L'ambiente attorno è una tavolozza di colori, dalle rocce silicee, agli arbusti di ginestra e ginepro, per poi passare alle betulle attorniate da cespugli di brugo (talvolta è chiamato col nome di erica selvatica o erica, si distingue però per la corolla e il calice divisi in quattro parti), tutto in perfetta armonia. Riprendiamo a salire su un ampio sentiero e dopo pochi minuti svoltiamo a sinistra seguendo una freccia gialla su una roccia (fare attenzione perché poco visibile), il percorso tra rocce e arbusti sale ripidamente arrivando alla Croce del Botul.
Una targa in bronzo recita: "1945 CROCE DEL BOTUL GLI ARRIGONI A RICORDO - 1995" queste date ricordano i 50 anni dalla fine dell'ultimo conflitto mondiale nel corso del quale molti vendrognesi hanno sacrificato la vita. La presenza della croce vuole essere un monito a rifuggire dalla violenza ed anche un invito alla libertà ed a godere delle bellezze della natura. Non per niente, sul posto, sono state posizionate delle panchine ed un tavolo a disposizione dei viandanti che vogliono ristorarsi all'ombra delle bellissime betulle che adornano il sito. Non manca nemmeno una fontana, alimentata dall'acqua della sorgente di Basia, che rende questa un'area piacevolissima per fare una sosta.
Oltrepassata la fontanella seguendo un traccia ben visibile perdiamo leggermente quota, per poi riprendere a salire in maniera più decisa percorrendo una larga pista sulla sinistra, rientrati nel bosco in breve arriviamo a un promontorio con una solitaria panca. Scendiamo verso l'evidente passo dove troviamo una fresca fontana con tanto di bicchiere legato a una catenella, riprendiamo ora il sentiero ben evidente e dopo pochi metri incontriamo una statuetta della madonna racchiusa in una nicchia di marmo bianco. Guadagniamo quota agevolmente arrivando all'ape Chiaro 1533 m, dalla palina segnavia seguiamo un sentiero di capre non indicato ma evidente che salendo ripidamente ci porta sulla cresta sud/ovest del M. Muggio. Arrivati sotto a una costruzione in cemento posta sopra alla cima occidentale  proseguiamo seguendo il crinale e agevolmente arriviamo in pochi minuti in cima al Monte Muggio 1799 m. Un vero balcone naturale sulle cime circostanti che oggi non possiamo purtroppo godere, ma che sicuramente ci ritorneremo. Dopo la doverosa sosta pranzo scendiamo dal versante opposto, oltrepassata la manica a vento svoltiamo a destra seguendo un sentiero che attraversando i prati scende fino al parcheggio dell'alpe Giumello. Continuiamo verso la "Capanna Vittoria" famosa in zona per le sue prelibatezze, senza farci tentare dai profumi che fuoriescono dalla cucina la oltrepassiamo per poi continuare su un tratturo. Dopo aver visitato la graziosa chiesetta che si incontra lungo il cammino facciamo ritorno all'alpe Chiaro, da dove ripercorriamo il percorso fatto all'andata fino alla fontana. Tralasciando il sentiero per la Croce del Botul continuiamo a scendere verso sinistra, passiamo in mezzo a un nutrito gruppo di simpatici somarelli e in breve giungiamo sull'ampio sentiero che abbiamo percorso al mattino, da qui in poi ripercorriamo il medesimo itinerario fatto all'andata.
Malati di Montagna: Piergiorgio, Danilo e Fabio









domenica 16 settembre 2012

La strada Antronesca

Oggi non si raggiunge nessuna cima, ma si ripercorre un’antica via di comunicazione, non ci sono panorami, ma si attraversano luoghi ricchi di storia, non sono solo, ma siamo in tanti, con un unico obbiettivo, rivivere anche solo per un giorno una pagina della storia di queste montagne… Grazie al CAI di Villadossola tutto questo è stato possibile,un’organizzazione impeccabile, merito soprattutto del suo presidente Renato, una persona che appena si ha il piacere di stringergli la mano, ti trasmette quella passione per la montagna che poche persone che ho incontrato hanno. Per me è già la seconda volta che partecipo a un’escursione con questa sezione e come la prima volta mi son sentito subito far parte di questo splendido gruppo. Oggi è anche una giornata speciale dopo tanti anni che conosco Giorgio e Claudio finalmente siamo riusciti a fare un’uscita in montagna assieme e chissà che non possa ripetersi al più presto…
Il ritrovo è alle 8.25 in Piazza IV Novembre a Villadossola, dove accanto alla bacheca che spiega il percorso, parte la “strada antronesca”. Alle 8.30 si parte, in prima fila ci sono alcuni uomini, donne e bambini in costume tipico della Valle Antrona che ci accompagneranno per tutto il giorno.
Iniziamo a salire lungo una scalinata che si addentra fra le case, volgiamo a sinistra sotto un arco andando ad incrociare la strada che attraversiamo per poi compiere una lunga diagonale che ci porta all’abitato di Noga, dove spicca la monumentale chiesa, costruita fra il 1663 ed il 1692 e dedicata alla Beata Vergine del Rosario. Proseguendo diritti usciamo sulla provinciale che seguiamo sino al primo tornante da dove continuiamo sulla scorciatoia a sinistra, più sopra riprendiamo la strada che seguiamo fino alla frazione di Boschetto. Per evitare questo tratto di strada è anche possibile, cartello indicatore, innalzarsi su una scalinata tagliata nella roccia e proseguire su un tracciato alternativo che più sopra si ricongiunge a questo itinerario. Nei pressi delle strisce pedonali di Boschetto imbocchiamo sulla destra la viuzza che si alza ripida fra le case volgendo a destra e ritorna sulla strada asfaltata che seguiamo in discesa, prima che questa si immette sulla provinciale svoltiamo a destra imboccando l’antica mulattiera che si snoda dolcemente al di sopra della strada pianeggia per un buon tratto sino a scendere sulla carrabile nei pressi del vecchio lavatoio. Ancora un centinaio di metri e arriviamo a Cresti 520 m (primo punto di ristoro), capoluogo del Comune di Montescheno. Di fronte al municipio, accanto al punto visite si stacca la mulattiera che sale verso sinistra, supera il piccolo oratorio e prosegue in piano andando a tagliare la strada per Montescheno; continuando in piano incontriamo una piccola croce in ferro e in breve raggiungiamo la cappella dell’Arvina. La mulattiera continua pianeggiando, entra fra i terrazzamenti e senza particolari difficoltà giungiamo alla chiesa di Seppiana dedicata a Sant’Ambrogio 545 m (secondo punto di ristoro). La prima costruzione della Chiesa risale probabilmente al XI secolo, ipotesi dedotta dal fatto che dai muri perimetrali sono emersi resti di archeggiature romaniche. La sua posizione lungo la Strada Antronesca permetteva un agevole accesso a tutte le comunità della Valle.
Scendiamo nel paese andando ad incontrare la strada della valle che attraversiamo raggiungendo una grossa cappella, proseguiamo diritti contornando una valletta dove scorre un ruscello, ci riportiamo nuovamente al di sopra della strada salendo leggermente e attraversando la frazione di Camblione, nei pressi di San Rocco scendiamo al di sotto della provinciale per poi camminare paralleli ad essa un trecento metri per poi riportarci più alti e proseguire sino a Viganella 578 m (terzo punto di ristoro), dove per l'occasione possiamo visitare "Casa Vanni" antica abitazione di uno dei più famosi pittori e scultori locali. Usciti dalla frazione, nei pressi del cimitero la mulattiera si snoda sui prati per altri duecento metri circa, prima di tornare a salire sopra la strada raggiungendo Rivera. Scendiamo di un centinaio di metri per riprendere ad alzarci sulla pista che porta a Cheggio, nei pressi della teleferica attraversiamo il torrente per proseguire sulla mulattiera e pianeggiando arriviamo a Ruginenta, accanto all'oratorio unico in Italia a essere dedicato a S. Antonio Abate e S. Antonio da Padova facciamo la pausa pranzo con una ottima pastasciutta offerta dal CAI di Villadossola. Proseguiamo diritti per andare ad incrociare la pista che attraversa il torrente Ovesca, per poi risalire sull’altro versante raggiungendo Prato. Da qui continuiamo ad inoltrarci nella valle, camminando per alcuni tratti suIl’asfalto, rientriamo nel bosco attraversando San Pietro 649 m e continuiamo nuovamente sulla strada per un buon tratto per poi scendere nel vasto greto del torrente. Risaliamo nei pressi di Madonna per portarci verso sinistra arrivando a Locasca, saliamo bruscamente il dosso boscoso e con un ampio giro giungiamo alle case di Rovesca strette attorno all'Oratorio di San Bernardo da Mentone, sulla cui facciata si affollano gli affreschi di tredici santi, sui quali domina un gigantesco San Cristoforo, alto quasi tutta la chiesa. Questo grande mosaico pittorico, realizzato nel 1668 grazie a oblazioni private, è uno dei più originali dell'Ossola. Usciti dal paese dopo poche decine di metri volgiamo a sinistra e in leggera salita attraversando alcuni prati arriviamo ad una cappella votiva, continuiamo e in breve arriviamo ad Antronapiana 902 m dove termina l'escursione. Per finire la giornata ci viene offerta persino la merenda a base di formaggi, salumi e dolci della valle Antrona, una giornata da RICORDARE…!!!
Malati di Montagna: Gianfranca, Claudio, Giorgio, Danilo e Fabio

questo è un piccolo reportage di questa splendida giornata
il calore della gente purtroppo non si può imprimere in una fotografia 
ma il ricordo mi rimarrà impresso per sempre nella memoria....GRAZIE...!!!


























sabato 8 settembre 2012

al bivacco Combi-Lanza sotto alle vertiginose pareti del Cornera

L’Alpe Devero si raggiunge seguendo l’autostrada A26 Volti-Gravellona Toce sino a Gravellona. Quindi si prosegue seguendo la statale 36 del Sempione, passando Domodossola, sino all'uscita per Crodo. Si esce dalla statale, seguendo per Baceno/Val Formazza e arrivati nel centro di Baceno si prende la strada comunale a sinistra che sale a Devero. L'accesso all'Alpe è interdetto alle auto private che vanno lasciate nel parcheggio a pagamento sottostante (5 euro).
Dal parcheggio (1630 m) mi dirigo verso le caratteristiche case in legno e pietra ben conservate, arrivato alla chiesetta in località "ai Ponti" 1640 m proseguo a sinistra seguendo le indicazioni sulla palina segnavia (H13). Rimanendo alla sinistra del torrente raggiungo in breve alcune case dove mi fermo alla fontana a far rifornimento d'acqua. Dopo aver oltrepassato lo skilift, arrivo in pochi minuti all'ultima abitazione da dove attraversato un ponticello in legno proseguo su un bel sentiero che si inoltra nel bosco. Giunto in prossimità di un ulteriore ponte in legno tralascio il sentiero alla sinistra dal quale farò ritorno e attraversato il torrente mi dirigo verso le case di Pedemonte, un bellissimo villaggio dove si respira ancora il profumo del legno utilizzato per la costruzione delle case. Seguendo i segnavia bianco/rossi mi porto a monte delle abitazioni per poi proseguire su un bel sentiero che si alza gradatamente all'interno del bosco. Uscito all'aperto a ogni passo che faccio il panorama davanti ai miei occhi è a dir poco splendido… Arrivato all'alpe Buscagna inferiore 1949 m il sentiero prosegue in falsopiano costeggiando il lento scorrere del torrente, giunto nei pressi di un ponte in legno dal quale farò poi ritorno, continuo diritto seguendo le indicazioni poste sulla palina segnavia. La giornata è talmente gradevole che senza quasi accorgermene mi ritrovo all'alpe Buscagna superiore 1972 m.
Dalla palina segnavia il sentiero si alza sopra le due baite dell'alpeggio e guadagna rapidamente quota fra sassaie, chiazze erbose e macchie di rododendri. Raggiunta la base di un canalone molto ripido inizio a risalirlo, attraverso più volte un ruscelletto che in questo periodo dell'anno fortunatamente è in secca, altrimenti bisogna prestare attenzione alle rocce bagnate. Dopo un tratto su rocce e sfasciumi all'altezza di un segnavia bianco/rosso e da un omino fatto dal sottoscritto, riprendo a salire a destra su un sentiero che costeggiando una parete rocciosa giunge quasi in cima al canale, lo attraverso un'ultima volta e per una dorsale erbosa raggiungo il pendio detritico sul quale si trova il bivacco Combi-Lanza 2409 m con il sottostante laghetto purtroppo asciutto. Costruito nel 1974 dal Club Alpino Italiano di Omegna è dedicato ai giovani alpinisti Luigi Combi, detto Sip, e Piero Lanza, entrambi deceduti a seguito di un incidente sul canalone Marinelli il 19 luglio 1970. Dispone di 20 posti letto (12 in branda il resto su cassettone sottotetto) e di cucina. L`acqua è normalmente reperibile nelle vicinanze, ma nei periodi siccitosi potrebbe scarseggiare.
Per il ritorno ripercorro il medesimo itinerario fino al ponticello in legno, da dove seguo le indicazione per l'alpe Misanco. Una volta attraversato il torrente proseguo a sinistra e dopo circa una decina di metri inizio a salire verso destra entrando nel bosco. Il sentiero sempre ben marcato prosegue in falsopiano, giunto ad un bivio continuo a sinistra e passato uno stretto intaglio tra le rocce in pochi minuto arrivo all'ape Misanco 1999 m. Dopo una breve pausa, riprendo la discesa e senza particolari difficoltà arrivo al ponte in località Piedimonte, da dove ripercorro il medesimo percorso fatto al mattino fino al parcheggio.
Malati di Montagna: Fabio
Piedimonte


Val Buscagna...


alpe Buscagna inferiore


delizie per gli occhi



mountain therapeutic



alpe Buscagna superiore


anfiteatro...


bivacco Combi-Lanza


la val Buscagna...!!!


come si fa a tornare a casa...!!!

sabato 1 settembre 2012

La montagna


La montagna l'ho conosciuta appena ho aperto gli occhi. La montagna famosa a dodici anni, quando fui ingaggiato come falciatore a Moena, sui pascoli alti, per poche lire all'ora. Rimasi affascinato da quelle enormi cime che spuntavano dai prati come i fiori. Si falciava tutto il giorno, circondati da lame di roccia scintillanti al sole come immense coti. Certe forme dolomitiche sono nate dai duelli tra Hurungnir e Thor. L'arma del primo era una cote che scagliava verso il nemico. Dove si conficcava era una montagna nuova. Le montagne sono belle perché hanno il vuoto attorno. Un vuoto che ci spaventa, forse perché rispecchia quello che abbiamo dentro. Le montagne comunicano il senso dell'irraggiungibile, del perfetto, del maestoso, dell'intoccabile. Ho scalato molte montagne, anche all'estero, in Groenlandia, in America, ma sono rimasto innamorato delle mie, dove sono nato e cresciuto. Andando in giro ho scoperto che le montagne del mondo hanno tutte una base e una cima, e il dolore degli uomini è sempre lo stesso. Adesso il mio motto è: «Cono- sci l'orto di casa tua e conoscerai l'India intera». Chi non ha un orto contempli un geranio, sarà lo stesso. Oggi non frequento quasi più le montagne famose perché sono diventate di moda, quindi caotiche. Alla loro base sorgono i più grandi parcheggi d'Europa. Ormai, su quelle vette cade neve colorata firmàta da prestigiosi stilisti. Ma devo dire che la montagna mi ha regalato ciò che gli uomini, le donne, i genitori, non sono riusciti a darmi. Dalla montagna mi sono sentito compreso, ascoltato, degnato di attenzione. Qualche volta anche spintonato, ma sempre dopo essere stato avvertito. Anche oggi che ho passato i cinquanta, e il mio animo è diventato corteccia e le delusioni non mi forano più, perché si spuntano sulla corteccia, quando le cose non vanno bene mi rifugio su qualche vetta.
È come fare visita a un'amica, per avere un consiglio, per riflettere prima di fare sciocchezze, per lasciare spegnere i fuochi che spingono al gesto impulsivo.
Vado su lungo una via facile, perché quando si è tristi non si possono affrontare difficoltà e pericoli. Mi siedo sulla cima, fumo una sigaretta e dico: «Eccomi qua! A quel paese tutte le menate, le preoccupazioni, i pensieri». Rimango qualche ora lassù, in silenzio.
Lo so, il mio è un limite, un problema di comunicazione, di rapporto con il prossimo. Ma che ci posso fare? Ognuno ha le sue malattie e, di conseguenza, il proprio medico personale.
La natura, le montagne sono state la medicina, l'appiglio per non cadere. Ma, si può dire, di tutta la famiglia perché anche mio padre e mio nonno andavano a guarirsi sulle cime. Dalle montagne ho avuto protezione e affetto. La scalata estrema è venuta dopo, ma non c'entra nulla, o molto poco, con l'amore per la montagna, con ciò che mi ha dato e continua a darmi.
Per me è la madre sulla quale giocano, si nascondono, cercano calore i suoi figli. Ogni tanto la mamma si stiracchia, respira, sbadiglia, qualche bambino rotola giù. Qualche altro soffoca sotto la sua mole come un pulcino sotto la chioccia. Ma non è colpa di nessuno. Mi escono battute sarcastiche quando leggo o sento definire la montagna assassina. La montagna non è assassina, se ne sta lì e basta. Siamo noi i killer di noi stessi, che non sappiamo vivere, che usiamo il profumo per l'uomo che non deve chiedere mai, che abbiamo dimenticato la carità, la riconoscenza, il rispetto, che distruggiamo la natura. La vita è un segno di matita, curvo e sottile, che finisce ad un certo punto. Per molti è lungo, per altri corto, per altri non parte nemmeno.
La gomma del tempo verrà poi a cancellare quel segno. Di noi non resterà nemmeno il ricordo. È giusto così. E allora perché sgomitare tanto? Ho speso i giorni liberi dal dovere in compagnia delle montagne e della natura e mi sono trovato bene. Molto di più che con la gente. Perché la montagna non è gelosa, né invidiosa, non cerca potere né vendetta. Né tradisce. Per andare in montagna ho ridotto al minimo il dovere. Non ho accumulato soldi, non ho snaturato la vita nascondendomi sotto mucchi di orpelli inutili. Vivere è come scolpire, occorre togliere, tirare via il di più, per vedere dentro. La montagna mi ha insegnato anche questo. Dopo due giorni di vagabondaggi senza cibo, una volta a casa, non è necessario che il tonno si tagli con un grissino per essere buono. La montagna mi ha fatto capire che è da sciocchi mettere la vita in banca sperando di ritrovarla con gli interessi. Mi ha aiutato a non essere troppo tonto, anche se un po' tonti si è tutti da giovani. Mi ha insegnato che dalla vetta non si va in nessun posto, si può solo scendere. Saggio consiglio per non farsi prendere dai traguardi dell'ambizione lungo il segno di matita. Oggi non ho né rimorsi né rimpianti. È andata così e basta. Forse sono un po' più saggio, o sto diventando vecchio. Ho usato la vita come una falce. L'ho battuta, arrotata, senza paura di colpire il sasso nascosto tra l'erba. Ho reciso fiori ed erbe. Adesso la falce è mezza consumata. Ma taglia ancora il fieno delle montagne. Se tornassi indietro rifarei tutto. Ma indietro non vorrei mai tornare. Concludo queste righe con un pensiero di Fernando Pessoa che tengo davanti al tavolo dove leggo, scrivo, e, per qualche ora, finita la bottiglia, dormo: «Quando l'erba crescerà sulla mia tomba, sia quello il segnale per dimenticarmi del tutto. La natura mai si ricorda, e perciò è bella. E se avessero la necessità morbosa di "interpretare" l'erba verde sulla mia tomba, dicano che io continuo a rinverdire e a essere naturale».

da "Nel legno e nella pietra" di Mauro Corona