Il mio zaino non è solo carico di materiali e di viveri: dentro ci sono la mia educazione, i miei affetti, i miei ricordi, il mio carattere, la mia solitudine. In montagna non porto il meglio di me stesso: porto me stesso, nel bene e nel male.
Renato Casarotto

Voi ammirate l'uomo che si spinge avanti, verso la cima, in ogni campo della vita, mentre noi ammiriamo l'uomo che abbandona il suo ego.
Sette anni in Tibet

domenica 16 dicembre 2018

la montagna senza lentezza non è più montagna

di Maurizio Gallo
Guida alpina, ma soprattutto insegnante di guide e promotore di un progetto di formazione di guide ed accompagnatori di montagna pakistani.


Da un po’ di tempo rifletto su quest’idea e rimango sempre molto sorpreso perchè in montagna vengono trasferite tutte le iperattività di oggi, senza che nessuno cerchi di opporsi a questo processo: non si pensa ad altro che a correre e consumare tutto quello che si tocca o si vede.
E’ importante, per salvarla da un progressivo svuotamento di valori e contenuti, sostenere un messaggio che presenta una montagna lenta, che si richiama al calmo procedere del montanaro, non per forza estrema, che offre uno spazio per esperienze profonde e costruttive in contrapposizione con un mondo che ci trascina verso una sempre più esasperata vita di corsa: corriamo in auto, corriamo sul lavoro, corriamo nei parchi per mantenerci allenati e belli fisicamente, corriamo sui tapis roulant nelle palestre: è possibile che dobbiamo correre sempre anche quando andiamo in montagna?
La corsa è diventata l’attività sportive primaria in montagna, chi fa i record giustifica il proprio approccio anche rifacendosi al principio “meno tempo ci metti più sicuro sei”, ma poi trascinano dietro di sé una miriade di corridori urbani che molto spesso hanno poca cultura della montagna e talvolta finiscono nei guai.
La mattina in montagna prima di andare a sciare si corre per le strade, la sera si corre con la frontale, nello scialpinismo si corre con la tutina attillata, in estate si corre lungo i sentieri e così via.
Ribadivo questo concetto almeno un anno fa e guardandomi intorno e leggendo le cronache alpinistiche non ho cambiato idea, anzi direi che la situazione è ancora peggiorata.
Mi ripeto perché penso che sia veramente importante mandare un messaggio diverso per noi che andiamo in montagna e per la montagna stessa che sta cambiando a nostra insaputa: sta cambiando a causa del cambiamento climatico, sta cambiando per le sempre più frequenti avversità atmosferiche, sta cambiando perché viene sempre più inquinata dalla presenza umana, ma sta cambiando anche perché noi che la frequentiamo la trasformiamo in una palestra.
Da giovane quando ho iniziato ad innamorarmi della montagna e della sua gente cercavo di imitare il passo lento del montanaro con le scarpe grosse che seguivo lungo i sentieri per acquisirne il ritmo e la scelta degli appoggi: il procedere lento che aveva come obiettivo di ridurre al minimo la fatica muscolare per poter percorrere tutti i giorni lunghe distanze portando sulle spalle zaini molto pesanti per approvvigionare gli alpeggi in quota o i rifugi.
Mia suocera da ragazza portava il mangiare dalla casa nel fondovalle ai familiari che seguivano le mucche al pascolo e preparavano il formaggio, ancora oggi vedo come cammina con la schiena sempre inclinata in avanti, ma dritta e senza gobba, e appena il sentiero sale il suo camminare la porta a raddrizzare il ginocchio posteriormente ad ogni passo spostando lo sforzo dal muscolo al sistema articolare per affaticarsi il meno possibile.
In Nepal camminando da tanti anni con i portatori Sherpa ho imparato il loro procedere in discesa: un rotolare verso valle senza modificare l’altezza del bacino rispetto al terreno, quasi si muovessero su un piano inclinato assorbendo tutti i salti nel sentiero usando le gambe come ammortizzatori.
In Pakistan rimango esterrefatto quando cammino sui ghiaioni con i locali che passano di sasso in sasso senza spostarli, quasi galleggiassero sulle pietre spinti da una forza interna che non parte dall’avampiede, come si fa quando si corre), ma da una specie di moto lineare di tutto il corpo: riuscire a muoversi come loro è per noi impossibile!
Ecco, bisognerebbe scrivere un libro dal titolo “lo Zen e l’arte di camminare in montagna” per imparare tutti i segreti del procedere lento e che poi diventa anche veloce e sicuro nel lungo periodo: vorrei vedere quelli che oggi corrono in montagna cosa faranno fra qualche anno con le ginocchia distrutte e la schiena a pezzi: il montanaro non poteva permettersi di fermarsi per acciacchi, doveva continuare a camminare anche da vecchio poiché senza lo spostarsi a piedi la sua vita sarebbe finita inevitabilmente.
Se non si trasmette questa messaggio di una montagna lenta si rischia di trasformarla semplicemente in un dislivello positivo o negativo e in un tempo di percorrenza, niente altro che una palestra per allenarsi.Anch’io ho corso in montagna, ho fatto gare di scialpinismo, ma la cosa che non ho mai perso è sempre stata la gioia di fermarmi a guardare e a parlare con la gente del posto, di amare la montagna come un mondo delle meraviglie, cercando in tutte le maniere di farne parte, non l’ho mai vissuta come una giostra: comprendo chi oggi corre, ma vorrei che si capisse che dobbiamo far di tutto per comunicare una montagna lenta perché la montagna senza lentezza non è più montagna.
E poi il famoso proverbio ci ricorda che chi si muove piano in montagna con le scarpe grosse ha anche il cervello fino…

Nessun commento:

Posta un commento