95 milioni di metri cubi d’acqua, 600 gigawattora di energia per l’innevamento artificiale, 136.000 euro per ettaro di pista; questi i numeri dell’innevamento artificiale secondo il WWF. Oltre allo spreco di energie, è necessario considerare che questa pratica ha un impatto anche sulla vegetazione e sulle falde acquifere. Inoltre, perché l’innevamento sia possibile servono determinate condizioni: anche se i fiocchi generati possono essere equiparati in buona misura a quelli naturali, perché il manto nevoso generato si conservi, sono necessarie delle temperature ben al di sotto dello zero e aria sufficientemente umida; se queste condizioni non sono rispettate il manto creato “ad hoc” si scioglierà e il lavoro svolto sarà da rifare, con consumi e costi maggiori. Francesco Laurenzi, colonnello dell’Aeronautica militare e noto meteorologo, osserva che “negli ultimi 20 anni la nevosità in Italia è scesa di circa il 40%, il che non è poco. Le precipitazioni in genere sono diminuite e le temperature medie si sono rialzate”. E ancora: “La quota dello zero termico, quella oltre la quale la pioggia resta neve, è salita di circa 1000 metri da 50 anni a questa parte e quella delle nevi perenni sta risalendo rapidamente”. Tenendo presente che il cambiamento climatico in atto non è contrastabile con la neve artificiale, la montagna come meta turistica deve essere ripensata. Non si deve e non si può resistere ai cambiamenti in atto fino all’ultimo momento e farsi trovare impreparati quando questi espedienti non basteranno più; ci si deve porre il problema di come ristrutturare l’offerta turistica ed attivarsi per tempo. Le stesse conclusioni si riscontrano nelle parole di Filippo Di Donato, presidente della Commissione Centrale Tutela Ambiente Montano del CAI, che dice: “La montagna non è fatta solo di piste innevate, ma anche di sentieri e arte da guardare. Eppure l’economia della montagna, soprattutto d’inverno, continua a basarsi sulla neve che, anche se non c’è, viene comunque creata artificialmente, con non poche conseguenze sull’ambiente e sulle tasche dei Comuni”. La riclassificazione dell’offerta turistica oltre alla neve e alle piste da sci è la strada da seguire (anche secondo Federalberghi Friuli Venezia Giulia) e non invece resistere con uno schema di business , quello delle piste da sci a tutti i costi, che è destinato a fallire; serve cioè adoperarsi e ingegnarsi per creare delle alternative là dove, per altro, queste spesso già esistono e devono essere solo affinate, “collaudate” e armonizzate nell’offerta generale.
Articolo apparso su montagna.tv
Eh già....... e qui pensano ancora ad investire nel progetto Pramollo ......... ma per piacere !
RispondiEliminaCiao Luca, purtroppo il dio denaro domina la società e questo è un grave danno per le future generazioni...noi ce ne accorgiamo già quando andiamo per terre alte...ma purtroppo siamo una minoranza....mandi
Elimina